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Libano, ondata di violenze nel campo profughi di Ayn al Hilweh: rischio infiltrazioni jihadiste

Giornate di forte tensione quelle che si sono a più riprese vissute nel campo profughi libanese di Ayn al Hilweh, nei pressi della città Sidone, situata a una quarantina di chilometri dalla capitale Beirut. Secondo quanto riferito dagli operatori assistenziali delle organizzazioni umanitarie impegnate sul posto, un’ondata di violenze interne avrebbero creato condizioni di fortissimo disagio fra i rifugiati, impedendo di fatto il regolare svolgimento delle missioni e creando i presupposti per numerosi episodi di ferimento, addirittura un’uccisione. Le circostanze, hanno costretto le agenzie delle Nazioni unite, l’Unicef e l’Unwra, a sospendere momentaneamente la loro attività sul posto, in attesa che l’ordine venga ripristinato con l’aiuto delle forze governative locali. All’interno del campo, trovano posto circa 80 mila persone, per la maggior parte di origine siriana e palestinese, anche se sono molte le nazionalità dei profughi qui accolti.

Ayn al Hilweh e il rischio jihadista

A fomentare le violenze (non certo le prime andate in scena nel campo), sarebbero stati dei dissidi esplosi fra i militanti di fazioni rivali, come gli affiliati al Fatah (ovvero il partito del presidente dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, Abu Mazen) e alcuni rappresentanti di movimenti estremisti, presenti in buon numero nei confini di Ayn al Hilweh. Le tensioni registrate hanno indotto l’amministrazione della vicina Sidone ad adottare misure cautelari, come la chiusura delle scuole (fermi anche 5200 studenti del programma d’istruzione dell’Unwra), mentre si diffondeva la notizia di alcune famiglie fuggite dal campo dove, in misura sempre più preoccupante, iniziano a circolare ideologie radicali (perpetrate soprattutto dalle registrate infiltrazioni di esponenti di gruppi integralisti salafiti). Va considerato che, in un contesto come quello del più grande campo profughi del Libano, sussiste una forte propensione (soprattutto da parte dei più giovani) a orientarsi verso l’arruolamento nei gruppi ribelli (sono numerosi quelli operanti nei dintorni, in special modo oltre il confine siriano) là dove regnano possibilità troppo remote di diventare a tutti gli effetti dei cittadini libanesi e, ancor meno, di arrivare a ottenere un rientro nei Territori palestinesi.

Il flusso siriano

Secondo l’Onu, attualmente, sono 450 mila i palestinesi presenti in Libano, almeno ufficialmente (fonti locali, infatti, attestano il loro numero su una cifra ben maggiore). A preoccupare le autorità locali è l’arrivo di quelli che sono ritenuti esponenti di gruppi fondamentalisti, reduci dalla battaglia contro le forze di Assad e ora riparati ad Ayn al Hilweh sfruttando l’ingente flusso di profughi provenienti dalla Siria. Per il momento, il bilancio degli scontri si attesta su un morto e 8 feriti. Ma, senza dubbio, le condizioni di criticità stanno progressivamente creando i presupposti per una situazione decisamente più grave, anche considerando le tensioni registrate attorno alla costruzione del muro di delimitazione del campo, considerata un’opera di tutela ma, per la maggior parte, vista come un’ulteriore limitazione alle persone qui rifugiate.

Mattia Damiani

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