Sociale

La depressione colpisce i giovani. L’intervista al prof. Tonino Cantelmi

Da sempre l’adolescenza è un’età in cui si mettono in discussione le certezze della fase evolutiva precedente e questo processo può provocare una sensazione di insoddisfazione che influisce negativamente sull’umore e sul benessere psicologico. Negli ultimi decenni questo fenomeno è peggiorato e a causa di modelli educativi sbagliati, del mondo finto dei social e delle dipendenze, sono sempre di più i giovani che vivono questa stagione della vita con tanta tristezza e molti di loro cadono nel tunnel della depressione.

Interris.it ha intervistato il Prof. Tonino Cantelmi, psichiatria e psicoterapeuta che ha spiegato perché i giovani di oggi sono tristi e ha indicato che questo sentimento negativo verso se stessi e nei confronti del mondo si può manifestare con comportamenti aggressivi e autolesionisti.

L’intervista

Professore, i ragazzi tristi sono molti?

“In un libro scritto prima della pandemia da due neuropsichiatri infantili, Benasayag e Schmit intitolato “L’epoca delle passioni tristi”, si indicava che nel giro di pochi anni la sofferenza psichica nei bambini e negli adolescenti avrebbe raggiunto livelli impressionanti. Dopo la pandemia questo dato è ancora più evidente e c’è stato un incremento dei comportamenti aggressivi, provocatori e distruttivi, mentre sono triplicati quelli autolesivi e suicidali. I servizi per la salute mentale in età evolutiva sono al collasso e le richieste di ricovero e gli accessi al pronto soccorso per problematiche psichiatriche hanno subito un aumento vertiginoso”.

 Professore, che cosa c’è alla base della sofferenza psichica adolescenziale?

“Innanzitutto l’assenza di adulti autorevoli, in grado di mettere ordine nel caos esistenziale dei ragazzi e la sensazione di incertezza ogni qualvolta si pensa al futuro, tanto che secondo l’Unesco bisognerebbe introdurre nelle scuole la materia “Futures Literacy” cioè una sorta di alfabetizzazione del futuro. Inoltre, molto è dovuto alla tecnologia digitale che ha un impatto  negativo sul sistema cervello-mente dei bambini e degli adolescenti e infine a provocare delle conseguenze devastanti sullo sviluppo psicoaffettivo è il fenomeno dell’erotizzazione precoce”.

Gli adolescenti di oggi sono più tristi rispetto a quelli di 20 anni fa?

“Tutto il mondo è più infelice e già da molto tempo l’OMS ha dichiarato che in questo decennio la depressione sarebbe stata la prima causa di invalidità a livello globale. Purtroppo stiamo costruendo un mondo più ansioso, più depresso e più legato a dipendenze e questo fenomeno non riguarda solo i più giovani, ma anche gli adulti e gli anziani. Le dipendenze da sostanze, da alcol e soprattutto le nuove dipendenze da comportamenti scorretti come per esempio quelle da tecnologia, da gioco d’azzardo, da sesso, da shopping, incantenano l’uomo e lo rendono triste”.

A che cosa può portare questa sofferenza?

“Le conseguenze sono molteplici e si manifestano in modo diverso a seconda della personalità. Innanzitutto può provocare dei fallimenti scolastici e relazionali che a loro volta portano a condizioni di isolamento e di impotenza. Tutto ciò si trasforma in sentimenti distruttivi in cui la rabbia e l’autolesione prende il sopravvento e influenza qualsiasi sfera della vita del singolo”.

I ragazzi capiscono di essere tristi e chiedono aiuto?

“Lo fanno ma non sempre nel modo canonico. La loro richiesta arriva attraverso comportamenti disfunzionali e a volte nemmeno loro si rendono conto che stanno chiedendo aiuto. Per questo è fondamentale che gli adulti siano capaci di vedere e comprendere i veri bisogni dei ragazzi. Purtroppo però non sempre questo accade perché viviamo in una società in cui ci sono sempre più adulti non autorevoli, compassionevoli e interessati davvero ad aiutare i giovani in un percorso di crescita”.

Come si deve comportare un adulto?

“Innanzitutto mettere ordine nel caos esistenziale dei ragazzi e contenere i loro bisogni emotivi. Inoltre, è fondamentale saper parlare in modo costruttivo di futuro e creare alleanze intergenerazionali. E infine, mettere da parte il narcisismo che spesso prevale sui bisogni dei giovani e fare la cosa più innata del mondo, ovvero amare i propri figli per quello che sono”.

Elena Padovan

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