“No farmers, no food, no future”. Uno slogan che, in realtà, è una sorta di concatenazione di eventi. Come a ricordare che, senza l’agricoltura, difficilmente il cibo primario arriverà nei centri di distribuzione. Figurarsi sulle tavole dei consumatori. Tuttavia, non c’è solo un’ovvia rivendicazione alla base dell’agitazione che, ormai da giorni, sta portando gli agricoltori proteste in grande stile, tra marce dei trattori e disagi alla circolazione presso i caselli autostradali. Peraltro con una caratterizzazione europea che, in poco tempo, ha allargato notevolmente i confini della protesta, passata da Francia e Germania all’Italia nel giro di poche ore, toccando poi altri Paesi come Belgio e Spagna.
Un’ondata di dissenso che ha messo nel mirino l’Europa e, più in generale, le politiche adottate in tema di sostenibilità. Le quali, tra gli altri provvedimenti, hanno richiesto al settore agricolo di utilizzare strategie di stretta sui consumi quali la sospensione delle attività di coltura, allo scopo di far “riposare” il terreno.
Una richiesta accolta tutt’altro che positivamente dal comparto agricolo, anche se il nucleo della protesta è decisamente più complesso. In ballo, infatti, accanto alle politiche di sostenibilità c’è la questione dei rincari sui costi del carburante (elemento di dissenso soprattutto per quel che riguarda l’agitazione italiana) e quella delle retribuzioni. Quest’ultima, peraltro, rafforzata dal lamentato ritardo nel pagamento dei sussidi promessi dall’Europa. La classica tempesta perfetta, che ha portato i lavoratori agricoli ad abbandonare i campi per dirigere i propri trattori sul meno consueto terreno autostradale, provocando inevitabili disagi. In Francia, in particolare, la marcia dei mezzi agricoli ha portato i manifestanti alle porte di Parigi, accompagnati da istanze legate sia all’insostenibilità dei costi di approvvigionamento che alle inefficaci risposte politiche.
Non è la prima volta che le normative europee in fatto di sostenibilità creino frizioni con i comparti del lavoro. Non tanto per gli obiettivi, quanto per le difficoltà nel mettere in pratica le indicazioni per l’abbattimento delle emissioni e, in questo caso, l’agricoltura intensiva. L’Unione europea aveva varato un pacchetto di provvedimenti da 55 miliardi di euro per revisionare le logiche della Politica agricola comune, tra i quali spiccava la destinazione del 4% (al minimo) dei terreni coltivabili a scopi non agricoli, accanto all’obbligo delle rotazioni.
Norme che, secondo gli agricoltori, oltre ad aumentare il gap del comparto con le importazioni, alzerebbero notevolmente i costi di gestione. Istanza manifestata, tra gli altri, anche da organizzazioni di settore, che lamentano peraltro la mancata attuazione in toto delle proposte comunitarie: “Il Consiglio Ue, ad esempio – ha spiegato Confagricoltura -, deve ancora prendere posizione sul progetto legislativo che prevede il taglio fino al 50% dell’uso di fitofarmaci e il Parlamento europeo ne ha chiesto formalmente il ritiro”.
Ma non solo. L’agitazione degli agricoltori tocca un nervo scoperto per l’Unione europea che, anche a fronte dell’emergenza legata alla guerra in Ucraina, ha visto l’indice dei costi legati al settore primario oscillare pericolosamente verso l’alto, rendendo più complessa l’attuazione delle politiche di sostenibilità. Senza dimenticare che l’agricoltura muove più dell’1% del Prodotto interno lordo dell’Ue. In sostanza, è la lamentela degli imprenditori agricoli, a fronte di un fabbisogno sempre maggiore, i costi di produzione continuano a salire senza che il corrispettivo in termini di guadagno sia adeguato. “La Confederazione – spiega ancora Confagricoltura – condivide l’attenzione del Governo nazionale rispetto alle richieste degli agricoltori, ma auspica risposte più incisive ed urgenti da parte dell’Unione”.
Senza contare che, almeno per quel che riguarda l’Italia, resta il problema della tutela dell’originalità dei prodotti. Anche in questo caso, messa a rischio da una regolamentazione che non mette al riparo da “una concorrenza non allineata con le regole dell’Unione per la sicurezza alimentare“. E, anche in questo caso, c’entrerebbe direttamente l’instabilità geopolitica, che renderebbe più conveniente l’import (anche e soprattutto dall’Ucraina) a prezzi inferiori piuttosto che la produzione in loco. Secondo Confagricoltura, è necessario “avviare una serie di iniziative a Bruxelles per chiedere che le richieste degli agricoltori vengano affrontate con maggiore sollecitudine, a tutela di un settore trainante della nostra economia che subisce le conseguenze economiche di uno scenario internazionale ad alta instabilità”. E, vista la situazione, di doverlo fare con urgenza.
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