Don Maurizio Patriciello parla a In Terris mentre il mondo intero guarda all’Italia per l’arresto di Matteo Messina Denaro. Il parroco della Parrocchia di San Paolo Apostolo di Caivano (Napoli) richiama l’attenzione sulle vittime dei clan. E mette in guardia dai modelli culturali veicolati dai mass media quando si affrontano i temi di mafia. “Ho visto con i miei occhi in vendita in un mercato rionale di Secondigliano i giubbotti come quello indossato da Messina Denaro al momento dell’arresto a Palermo– racconta a In Terris il sacerdote simbolo della formazione dei giovani alla legalità e della lotta alla camorra nella terra dei fuochi-. C’è un immaginario mafioso che attrae frange minoritarie delle nuove generazioni, Non rende un buon servizio all’opinione pubblica il quotidiano resoconto sensazionalistico e privo di senso dei ritrovamenti nei covi del boss in latitanza. Quale significato può avere stare lì a riferire minuziosamente su quanto viene rinvenuto. Lo dico anche da giornalista. Che rilievo informativo avrà mai il fatto che sia stata rinvenuta in casa una pistola con cui Messina Denaro si difendeva o una parrucca con cui si camuffava? Sono queste le notizie”.
“Per non alimentare il putrido sottobosco camorristico e mafioso andrebbe data centralità al dolore delle famiglie delle vittime. E alla volontà di riscatto e liberazione dei territori che soffrono a causa della criminalità organizzata– sottolinea don Patriciello-. Abbiamo il dovere come comunicatori di far conoscere le vite spezzate dai boss. Come quella di Giuseppe Salvia, vicedirettore del carcere napoletano di Poggioreale. Ucciso dalla camorra perché svolgeva le sue funzioni. Compirebbe adesso 80 anni se il 14 aprile 1981 a 36 anni non fosse stato crivellato di colpi di pistola sulla Tangenziale cittadina per ordine dei clan. I nomi di chi ha commesso e commissionato questi delitti non meritano di essere ricordati. E invece va tramandato il dolore delle vittime innocenti della barbarie mafiosa che oltre ai familiari sono le persone che abitano i luoghi sfregiati dalla criminalità organizzata. Caivano si trova a cinque minuti d’auto da Casal di Principe. Conosco la sofferenza degli studenti che a scuola sono etichettati come ‘casalesi’. Solo perché provengono da quel comune. E lo stesso accade ai ragazzi di Corleone. E’ di loro che dobbiamo occuparci. Non vanno lasciarli soli nel loro dolore individuale e collettivo”.
Don Patriciello ha proposto, perciò, che in ogni paese siciliano – e non solo – venga intitolata una strada al “piccolo Giuseppe Di Matteo. Martire della mafia“. Spiega il sacerdote che da sempre combatte la camorra: “Ero a Palermo il giorno in cui è stato arrestato Matteo Messina Denaro. Sono stato, qualche anno fa, a San Giuseppe Jato, nel covo. Lì dopo 779 giorni di orribile prigionia, fu strangolato il piccolo Giuseppe Di Matteo. Prima di essere sciolto nell’acido. Mi sembrò di scendere all’inferno. I giovani di oggi e di domani debbono conoscere il calvario cui fu sottoposto questo loro innocente coetaneo. Perché non abbia a ripetersi mai più. Per non dimenticare. Per sperare di essere domani migliori di come fummo ieri”. Nel popoloso comune della provincia di Napoli il sacerdote campano si è battuto e si batte contro la camorra e lo spaccio di droga. Per questo suo impegno il parroco anticlan di Caivano è da diverso tempo sotto scorta. A causa delle minacce che gli sono state rivolte dai clan. Giuseppe Sacco è sindaco di Roccasecca (Frosinone), finalista per la città della Cultura 2025. “Ho raccolto con grande piacere l’appello di don Maurizio Patriciello, lanciato nelle ore successive all’arresto di Matteo Messina Denaro- spiega Sacco-. Mi impegno ad intitolare al piccolo Giuseppe Di Matteo una strada. Non si può morire a soli dodici anni, sciolto nell’acido, per la cattiveria degli adulti. Giuseppe, figlio di un collaboratore di Giustizia, ha pagato con la vita l’essere nato in una terra bellissima ma per certi aspetti crudele. E le parole di don Patriciello, prima da padre che da sindaco, mi hanno profondamente colpito“.
In occasione della messa appena celebrata da don Patriciello in memoria di Giuseppe Salvia, è arrivato al parroco della parrocchia di San Paolo Apostolo di Caivano un messaggio dal premier Giorgia Meloni. Commemorando il vicedirettore del carcere di Poggioreale a Napoli, ucciso il 14 aprile 1981, il presidente del Consiglio evidenzia che “questo è il più grande insegnamento che ci ha lasciato Salvia. Cioè non fare ciò che conviene o che è più utile. Ma solo ciò che è giusto. E per noi è stato giusto garantire che la normativa antimafia, a partire dal carcere duro, immaginata e costruita da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, potesse continuare ad operare. E ad essere uno strumento fondamentale nelle mani dello Stato per combattere la criminalità organizzata. Un segnale chiaro e forte per dire che lo Stato c’è e non intende arretrare. La battaglia contro ogni mafia prosegue. E noi faremo ogni cosa possibile per vincerla”.
A don Patriciello il capo del governo scrive che “l’Italia non potrebbe fare a meno di persone come te”. Persone che, “ogni giorno, si mettono al servizio della propria comunità“. E che “non si rassegnano all’idea che non si possa cambiare nulla”. Uomini e donne che “non riescono a voltarsi dall’altra parte”. Persone che “non ci pensano due volte a mettersi in gioco. E sanno che le buone azioni non sono inutili ma generano frutti. La speranza e il bene sono contagiosi. Si propagano e cambiano radicalmente ciò che raggiungono. Come la luce di una candela nelle tenebre, che nemmeno tutta l’oscurità del mondo può spegnere“.
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