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Coronavirus, la forte testimonianza di due italiane in Cina

Sono oramai due mesi che la Cina – e tutto il mondo – sono alle prese con il nuovo e temibile coronavirus nCoV-19 che ha causato oltre 3.000 decessi, più di 93 mila contagi; le persone guarite sono quasi 51 mila. La Cina ha registrato 119 nuovi contagi da coronavirus, in calo per il terzo giorno di fila,e 38 ulteriori decessi. Secondo gli ultimi dati della Commissione sanitaria nazionale (Nhc) aggiornati a martedì, i decessi totali sono saliti a 2.981 e le infezioni a 80.270. I nuovi casi nell’Hubei, provincia epicentro dell’epidemia, si sono attestati a 115, mentre 4 sono quelli relativi al resto della Cina. Il numero di infezioni sospette sono calate a 520, ai livelli più bassi da gennaio. In Terris ha contattato due italiane, Maria e Alessandra, residenti a Pechino.

Come è la situazione in Cina?
“Possiamo raccontare la situazione della zona di Pechino dove abitiamo e di alcune zone della Cina dove ci sono alcuni nostri amici e colleghi. Dal 26 gennaio circa la popolazione della Cina è stata invitata a rimanere in casa, uscire il meno e non riunirsi con i parenti per i festeggiamenti del capodanno cinese. Il 27 gennaio noi siamo andati a trovare un’amica che ci ha chiesto un favore. Per strada c’era poca gente, ma questo è normale durante il capodanno cinese visto che tanti che lavorano in capitale ritornano a casa (circa 12 milioni di persone, quasi la metà della popolazione della città) e non ci ha richiamato molto l’attenzione. Anche noi quel giorno siamo andate a fare la spesa. In molti, noi comprese, indossavano la mascherina, alcuni con i guanti, i dipendenti rifornivano gli scaffali, ma le persone in modo molto composto e ordinato facevano i loro acquisti. Da quel giorno abbiamo accolto l’invito a non uscire e ancora oggi lo facciamo solo ogni 4-5 giorni per fare la spesa. In queste uscite vediamo che il supermercato sotto casa, il negozio della frutta e la bancarella fuori dal nostro quartiere sono sempre aperti e ben riforniti. Le persone fanno la loro spesa con guanti e mascherina, evitano di pagare in contanti (si paga con il cellulare, Alipay o Wechat) e accettano di buon grado la misurazione della febbre e le altre misure di prevenzione”.

Questo è lo stato attuale di Pechino, ma nei villaggi più piccoli, cosa sta accadendo?
“Molti villaggi si sono autoisolati nel senso che i responsabili hanno messo un controllo all’entrata evitando ingressi e uscite e invitando tutti a rimanere in casa. I villaggi più in periferia si sono aperti, mentre la prevenzione rimane forte, anzi è aumentata nelle città. Ad ogni persona che torna a Pechino, quando entra nel suo quartiere, viene chiesto un periodo di isolamento di 14 giorni in cui non può uscire di casa e c’è chi per lui va a fare la spesa. A chi invece è rimasto sempre in città, previa registrazione con domicilio, telefono e numero carta di identità, è stato consegnato un documento che prova che sei residente e quindi libero di entrare e uscire dal tuo compound”.

Ultimamente gli italiani non sono ben visti all’estero, a causa del diffondersi dell’epidemia di Covid-19. Avete avuto problemi in questo senso?
“Negli ultimi giorni, la polizia locale, attraverso l’amministrazione del quartiere ci ha chiamate per confermare il fatto che siamo italiane, chiedendoci se ultimamente (visto il diffondersi de virus anche in Italia) eravamo state in Italia e informandosi sul nostro stato di salute. Queste misure, non le viviamo come controllo, ma come protezione. Sapere che hanno il nostro contatto telefonico per chiamarci se per caso nella stessa banca in cui siamo state c’è un contagio e quindi attivare la protezione, ci fa sentire più sicure e protette”.

Secondo voi, il governo cinese ha risposto in maniera adeguata all’emergenza? Che misure ha messo in campo? 
“La macchina preventiva cinese è molto efficace. Nei pochi spostamenti per la città abbiamo visto la polizia, ma non l’esercito. Anche i nostri colleghi, a cui ho appositamente chiesto, non lo hanno visto. Alle porte dei quartieri ci sono i custodi (che ci sono sempre) e gli amministratori del quartiere stesso. Ogni quartiere può contare anche sulla presenza di volontari che lavoro per la prevenzione. Sappiamo che i medici e gli infermieri dell’esercito sono stati inviati negli ospedali di Wuhan, ma come dicevo non abbiamo visto militari in divisa sulle strade. Ma anche se ci fossero non sarebbe percepito come segnale negativo. Qui nelle grandi occasioni o eventi spesso i militari sono presenti alle uscite delle metropolitane, la polizia per strada e i volontari agli angoli delle strade. La gente lo percepisce come segno di servizio e protezione, ancora di più in casi di emergenza. Non viene inteso come misura eccessiva, ma doverosa. Al momento, crediamo che l’utilizzo dell’esercito sia necessario in quanto la Cina dispone di una schiera di volontari e degli iscritti al partito che in queste occasioni si rendono disponibili per il bene del popolo, misurando la febbre, disinfettando le strade, portando la spesa nelle case degli isolati. In Cina esiste un forte senso di appartenenza al popolo, del comune e responsabilità personale verso il bene di tutti”.

E’ stata fatta una buona opera di informazione?
“Le informazioni che sono arrivate e arrivano su come doversi comportare sono molto precise e puntuali (non si perdono in mille discussioni e polemiche). Le modalità per diffonderle sono le più varie: dalla società del telefono; all’assicurazione dell’auto che ti invia spesso dei messaggi sul cellulare ricordandoti le precauzioni; dalla televisione che prima di collegarti al canale ti ricorda di far arieggiare la casa, mettere la mascherina, e come metterla bene; all’app sul cellulare che a intervalli regolari si aggiorna con il numero dei malati, dei guariti, indicando precisamente luogo del contagio, giorno del contagio e distanza dalla tua casa; agli avvisi sulle bacheche dei condomini con i contatti degli ospedali in servizio speciale; ai messaggi che girano nelle chat; agli striscioni rossi sulle strade e sulle ringhiere dei quartieri che ti ricordano come affrontare responsabilmente e in unità, come popolo, questa battaglia”.

In alcuni momenti, c’è stato chi ha ipotizzato che il governo cinese potesse aver manipolato i dati dell’epidemia. Pensate che sia così?
“No, crediamo che i dati diffusi siano plausibili. Nel ruolo che la Cina sta giocando a livello internazionale, e per come si è aperta in questo caso verso gli altri Paesi e istituzioni internazionali, crediamo che la manomissione dei dati sarebbe solo a suo sfavore. Ogni giorno ascoltiamo il telegiornale e cerchiamo su internet, sulle chat locali, le informazioni che girano, con l’obiettivo di capire se c’è qualche voce fuori dal coro. Nessuno parla di manomissioni di dati. Abbiamo letto un articolo che parla di poca collaborazione, all’inizio,  tra la regione dell’Hubei (di cui Wuhan è capoluogo) e stato centrale, cosa che avrebbe causato poca efficienza nelle prime settimane di gennaio complicando un po’ la situazione ma nulla di più. Noi siamo lontane dall’epicentro (circa 1200 Km da Wuhan), siamo a Pechino che è la città più controllata e protetta, per cui forse non abbiamo tutta la visione, ma quello che vi abbiamo detto viene da ciò che abbiamo sentito e visto con i nostri occhi e orecchi e quelli della gente comune che ci circonda”.

 

Manuela Petrini

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