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Capanna Margherita, i custodi dei ghiacciai a un passo dalle stelle

A 4.554 ci arriva solo chi è allenato per arrivarci. Lassù l’ingegno dell’uomo ci arriva per altre vie. Là contano i muscoli, la testa e anche il cuore. E l’ascensione, man mano che la roccia lascia il passo al ghiacciaio, è una sfida con sé stessi e con la propria resistenza, fisica e psicologica. Eppure, su una cresta a strapiombo sulle valli alpine, impervia e selvaggia cima del gruppo del Monte Rosa, esattamente a quella quota, qualcuno ha pensato di costruirci un rifugio. Dalle pareti scoscese, quasi un prolungamento della roccia sul quale sorge, tirato su nel 1893 dinnanzi alla regina Margherita di Savoia, che il ghiacciaio sottostante, da abile alpinista quale era, lo percorse di buon passo. Giusto in tempo per dare il benvenuto alla Capanna che avrebbe preso il suo nome. Nientemeno che il rifugio alpino più alto d’Europa.

Capanna Margherita, l’oasi della montagna

Festeggerebbe 125 anni la Capanna Margherita. Ma sono solo 40 quelli trascorsi dalla sua ultima ristrutturazione, step decisivo nell’accompagnare il rifugio nel passaggio da tappa alpinistica ad avamposto di studio e osservazione. Una destinazione d’uso che non solo prosegue la tradizione dei grandi pionieri della montagna, ma che lo rende un vero e proprio luogo di frontiera, un occhio posto sulle vette più estreme per monitorare gli effetti del cambiamento climatico sui ghiacciai alpini. Una funzione che, in realtà, il Margherita svolge già da fine Ottocento, come osservatorio ma anche come oasi naturale nel quale studiare le reazioni del corpo umano in alta quota. Il tutto in una cornice da sogno, dalla quale l’occhio abbraccia le creste montane, con il cielo come unico confine.

Il Monte Rosa

Un luogo di conoscenza

L’importanza strategia del rifugio ha fatto sì che il quarantesimo del suo ultimo restyling attirasse l’attenzione anche di chi all’alpinismo non si è mai avvicinato. Per scoprire che l’ultima fortezza dell’uomo sulle più alte cime delle Alpi apre le sue porte a chiunque abbia a cuore la tutela della montagna: “Capanna Margherita è un punto di arrivo e partenza per tutte le ascensioni del Monte Rosa e anche di alcune traversate – ha spiegato a Interris.it Giacomo Benedetti, presidente Commissione Centrale Rifugi e Opere alpine del Cai -. Ed è anche un presidio del territorio alpino vero e proprio, per sicurezza e accoglienza”. Un luogo estremo, appunto, ma anche di conoscenza: “Il Cai ha convenzione con Università di Torino e ha dedicato una stanza a uso laboratorio per sperimentazioni ad alta quota. Inoltre, il Margherita è anche un centro d’osservazione per i cambiamenti climatici e per studiare tutte quelle scienze che prestano attenzione all’ambiente”.

Studi e osservazioni

Un avamposto di conoscenza, dove la sfida dell’ascensione è solo la prima esperienza che Capanna Margherita può regalare. Fra le nevi perenni delle sue vette, il Monte Rosa sembra quasi aver riservato uno dei suoi picchi alla creazione di un luogo in cui l’uomo possa davvero diventare tutt’uno con la montagna: “Sono stati fatti, negli anni, molti studi e tante osservazioni da parte degli scienziati. Anche sui comportamenti più semplici di una persona a quote così alte, come passare la notte o fare dei gesti quotidiani. Anche per questo il quarantennale sta avendo grande risonanza. Sono in corso alcune iniziative dedicate alla Cai e ci sarà anche una messa sul balcone della Capanna Margherita”.

Capanna Margherita in inverno

Ambiente e storia

Particolare l’inaugurazione di una scultura che, in qualche modo, cerca di coniugare la doppia vocazione del rifugio, fra ambiente e passione alpinistica: “Una scultura – ha concluso Benedetti – molto caratteristica. Una sorta di cervello che rappresenta il mondo animale e vegetale. Per la sua inaugurazione è stata ‘sporcata’ di plastica e alcuni bambini l’hanno idealmente ripulita. Devo dire che il 40esimo del nuovo Margherita ha offerto molti spunti di riflessione. Già raggiungerlo è una bella ascensione, e da lì si possono fare gli altri 4 mila che compongono il gruppo del Rosa. Si vive, oltre che l’ambiente, anche la storia dell’alpinismo“. Quello vero, dove il confronto tra uomo e roccia è innanzitutto una sfida con sé stessi.

Damiano Mattana

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