Intervento

L’uomo e la pandemia

La storia dell’umanità è stata periodicamente interessata da crisi che spesso hanno fatto prefigurare scenari apocalittici fino a mettere a dura prova la sopravvivenza dell’uomo.
Nell’attuale contesto pandemico , né le scienze mediche, né la tecnologia avanzata hanno affievolito la paura , rimasta identica in ogni epoca, poiché l’umano appare smarrito ed incapace di porre interrogativi ambiziosi e di mostrare il senso della vita .

Si ricava la netta sensazione che la grande stagione degli interrogativi, della “fatica del pensare“, come diceva da Jacques Maritain, e della capacità di uno sguardo lungo sulla molteplicità delle complesse questioni siano ormai state disarcionate per far posto alla nuova stagione più intrigante e fascinosa delle risposte totalizzanti a buon mercato .
Vi sono tuttavia aspetti inediti che, come ricordava Dominique Barthélemy, domenicano francese e studioso biblico, possono generare inaspettate opportunità.

Valga in proposito la vicenda storica degli ebrei deportati a Babilonia che ha preparato il giudaismo prima a confrontarsi con l’ellenismo e poi a ricercare punti di contatto tra fede e ragione. Una svolta che con l’avvento del cristianesimo ha consentito ad Agostino di Ippona di riflettere soprattutto con la filosofia platonica per dare una sistemazione organica del suo pensiero, di cui successivamente la Scolastica dell’Aquinate si incaricherà di creare le categorie di pensiero per trovare la sintesi tra fede e ragione.

Oggi invece sembra diessere ritornati alla situazione evocata da Soren Kierkegaard, il quale scrisse: “La nave è ormai in preda al cuoco di bordo e ciò che trasmette il microfono del comandante non è più la rotta, ma ciò che mangeremo domani“. Ci troviamo dunque in una periodo in cui prevale un relativismo che pretende di abbattere ogni dogma del passato e per il quale, come asseriva Benedetto XVI, ”tutto si equivale e non esiste alcuna verità, né alcun punto di riferimento assoluto”, un relativismo che “non genera la vera libertà, ma instabilità, smarrimento, conformismo alle mode del momento”.

​Nel mondo moderno e post-moderno, invece, dove la tecnologia ed i ritmi frenetici del lavoro impongono una vita spesso complicata, le domande sul destino dell’uomo sono tenute ai margini se non cancellate. ​Allora nuovi paradigmi culturali devono farsi strada giacché il pensiero si è fortemente rarefatto nei “social“ in cui la rapida risposta su ogni tema rischia di essere puro slogan.

Un pensiero che non riflette la condizione dell’uomo , ma della sua immagine riflessa nello specchio che ritrae solo sé stesso e la sua solitudine, sbiadendo la bellezza dello stare insieme e di ciò che lo circonda. Eppure queste domande riflettono sulla condizione dell’uomo che non è una monade negli spazi senza tempo, ma una persona capace di fermarsi sulla soglia per riconoscere il suo Creatore e per meditare sul trascendente.

La dura prova della pandemia, se da un lato indubbiamente induce l’uomo ad un ripiegamento su se stesso dall’altro, pur evocando o suscitando paure di scenari “apocalittici”, può anche aiutare a recuperare la consapevolezza della sua autentica natura, e dunque a riscoprirla, a riflettere sulle proprie fragilità e potenzialità, sui grandi temi legati alla vita umana, ai suoi compiti, ai suoi veri valori ed ai suoi destini. Forse l’esperienza di questi ultimi mesi può indurci a riflettere sul fatto che l’uomo è, sì, potente, ma non onnipotente.

Michele di Bari

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