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Una società tossica

Molti incidenti stradali con centinaia di morti all’anno avvengono a causa di persone che guidano alterate dall’abuso di sostanze alcoliche o droghe. Tanti giovani si sballano fin dalla più tenera età, dai dodici anni in avanti, passando le serate a bere o spinellarsi, gettando in fumo gli anni più belli. Ma questi stessi ragazzi e ragazze, se viene presentata loro una proposta di divertimento intelligente, creativo, anche oblativo, sono i primi a buttarsi, a coinvolgersi direttamente.

Estremamente fragili, ma desiderosi di fare un incontro simpatico con la vita, non si rassegnano a relazioni fittizie, di facciata, in cui si fa buon viso a cattiva sorte. Allora il problema è educativo, cioè di una vita, che nei genitori, educatori, insegnanti, deve sapere di verità, di congruenza tra ciò che si dice e ciò che si vive. La vita è dono, ricevuto da un Altro, non è mai possesso. È responsabilità conquistata con sacrificio fin dai primi anni: nella famiglia, nella scuola, nel gruppo dei pari, le relazioni si conquistano, non si pretendono. La via della sobrietà è apertura al grazie; ai nostri giovani non bisogna dare tutto ma il giusto, perché possano mettere a frutto le proprie capacità e potenzialità. Ma è anche via di giustizia che fa percepire come tre quarti dell’umanità non ha di che vivere mentre di qua si è satolli, pieni di scarti.

La droga è il malessere di una società malata che manda messaggi contraddittori. Ci si batte perché giustamente ci sia la scuola, il lavoro, la salute, la pensione, la libertà, ma poi si attrezzano gli ospedali perché migliaia di concepiti siano massacrati nel seno materno. Si mantengono privilegi di redditi o pensioni d’oro mentre altri non hanno di che mantenere la propria famiglia. Si comprano i cacciabombardieri per “difendersi” quando si sa che la guerra è l’abominio dell’umanità che non ha mai portato a nulla di buono. Si accompagna alla dolce morte e si dà, come in alcuni paesi europei, la droga a mantenimento.

Ma la malattia di una società non sempre è per la morte, anzi. Proprio i giovani chiedono di cambiare rotta, esigendo prepotentemente il ritorno a Dio, l’amante della vita, e lo vogliono incontrare nella Comunità, nella Chiesa. Gesù Cristo è veramente nato, vissuto e risorto. I cristiani devono essere nel mondo come il lievito nella pasta perché si ritorni alla speranza e le nuove generazioni abbiano la possibilità di spendere la vita nel bene, nel bello, nel giusto, nel vero. Diamo ai giovani il nostro cuore, allora ritorneranno a vivere.

Tratto da “Sempre”

Paolo Ramonda

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