Intervento

Una crisi di governo fuori tempo e fuori modo

Se il presente deprime, sogniamo il futuro. Nessuno esce esente da colpe da questa crisi di governo fuori tempo e fuori del mondo. I 5 Stelle in versione contiana hanno scatenato la bufera, se ne sono pentiti, poi l’hanno scatenata lo stesso: di loro probabilmente resterà poco, tanto più che per accontentare un Movimento a corto di idee e di programmi il numero dei parlamentari è stato dimezzato. Berlusconi e Salvini potevano vincere a mani basse, dopo i segnali di ripensamento di Conte era nella loro potestà dichiarare la fine del gioco, incassare la vittoria e porsi come i nuovi garanti della sopravvivenza dell’esecutivo. Hanno invece forzato la mano, divenendo corresponsabili dell’accaduto e non è una questione di giudizio morale: in politica, diceva Ciriaco De Mita, alla fine chi sbaglia paga.

Draghi ha cercato di forzare la mano, come Prodi aveva fatto nel 1998 con Rifondazione Comunista, ma l’idea di “andare avanti con chi ci sta” è molto meno felice del “whatever it takes”, e ha sortito effetti letali per il governo Prodi come per quello Draghi. Il Pd, infine, si è affidato ad un partner fedifrago. Non è la prima volta che gli capita. Non aggiungiamo altro.

Allora, visto che questo è il presente, fantastichiamo sul futuro anche se ogni sogno di una notte di mezza estate inevitabilmente materializza l’immagine inquietante di Auberon il re delle fate. Elezioni a settembre, pare: campagna elettorale ad agosto, gente distratta, affluenza in calo. Chi perderà avrà buon gioco a dire che il prossimo Parlamento non sarà rappresentativo nemmeno della metà del Paese, ed è sbagliato: alle elezioni perde proprio chi non vota. Viceversa, chi vincerà si illuderà di avere un mandato pieno dell’opinione pubblica, ma non sarà così. È il sistema politico che boccheggia: questo è il punto.

Avrebbero potuto iniettarvi nuova linfa vitale, con una legge elettorale proporzionale. Non è stato fatto, e allora prepariamoci. Prepariamoci a quella che probabilmente sarà una replica della paralisi degli ultimi quattro anni, con un Quirinale costretto a blandire e intimorire, e meno male che non ha cambiato inquilino. Ma con una differenza sostanziale: lo scioglimento delle Camere era qualcosa cui Mattarella avrebbe preferito mille volte non ricorrere, ma ormai il tabù è infranto.

La legge elettorale è quella che ha generato l’attuale marasma: il Pd da solo difficilmente potrà governare; il centro è ancora creatura amorfa che rischia, come lo stesso Draghi, di far la fine di Scelta Civica e Mario Monti; il centrodestra, poi, ha già sprecato due vittorie certe in altrettanti turni di amministrative a forza di vendersi la pelle dell’orso prima di averlo catturato. Anche dovesse uscire vincente, cosa probabile, al suo interno le rivalità e le contraddizioni sono così forti e sentite che nell’arco di pochi mesi potrebbe saltare di nuovo tutto: alleanze, governo e accesso al Pnrr. Allora altre elezioni, a primavera 2023, che poi era la scadenza naturale dell’attuale legislatura. E così il Sogno di una notte di mezza estate finisce con molto rumore per nulla.

Nicola Graziani

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