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Un destino comune

Papa Francesco oggi, 2 novembre, sarà il primo pontefice a celebrare la Messa per la commemorazione dei defunti al cimitero di Prima Porta, il più grande d’Italia con circa tre milioni di tombe. Tre milioni di persone, non solo romani, che “dormono” e che nella giornata odierna riceveranno le visite dei loro cari, un fiume di persone di tutte le età, che porterà un fiore, si soffermerà in silenzio, si lascerà rigare il volto da una lacrima, e, chi ha il dono della fede, reciterà una preghiera. Né più, né meno di quanto succederà nei cimiteri cristiani di tutto il mondo, teatri di un rito intimo e solenne, che anche il Santo Padre farà nella sua celebrazione.

Analoghi gesti di pietà, prima di Jorge Mario Bergoglio sono stati fatti da altri papi, con la recita di preghiere per le anime dei defunti, con la deposizione di fiori, omelie sull’autentico significato della morte dal punto di vista cristiano, ma sempre al Verano, l’altro grande campo santo della Capitale. Quest’anno è cambiato scenario, ma la sostanza rimane sempre la stessa. E’ un fatto incontestabile e altamente significativo che sia il Papa in persona a tenere viva la pia tradizione della commemorazione dei propri cari che ci hanno preceduti nell’”altra” vita. Un fatto che dovrà pur significare qualche cosa, al di là degli aspetti liturgici, delle preghiere e dei ricordi personali a cui si abbandona qualsiasi persona che pensa a un parente (un padre, una madre, un amico…) che non c’è più. Specialmente per quel miliardo e trecento milioni di cattolici che hanno nel Papa di Roma, Vicario di Cristo e padre della Chiesa universale, la propria guida spirituale. Ma non è da escludere che la giornata del 2 novembre non lasci indifferente nessuno, qualsiasi uomo e donna di buona volontà ne avverte intensità, emozioni, ricordi, al di là di scelte religiose, orientamenti politici, posizioni sociali, nazionalità.

Potrà sembrare un apparente paradosso, ma il 2 novembre è veramente festività universale, forse la vera ricorrenza autenticamente “democratica” che è in grado di dare il dono della memoria senza distinzioni a tutti coloro che non ci sono più. Una festa della memoria che non esclude nessuno, dai personaggi più noti, dai grandi della terra passati a miglior vita, ai tanti, troppi, migranti che ancora perdono la vita nei mari del Mediterraneo per scappare da guerre e oppressioni, fino alle persone più anonime, i più semplici, persino quanti interrompono il loro cammino terreno sotto un ponte intirizziti dal gelo, lungo freddi marciapiedi, ai bordi delle piazze. Il ricordo dei defunti non conosce confini, è un tributo, laico e religioso, destinato a tutti quelli che non ci sono più, senza nessuna differenza, e a questo proposito viene spontaneo ricordare una delle poesie più belle composte dal grande Totò, ‘A Livella, nella quale il principe Antonio de Curtis (il nome di battesimo del celebre attore napoletano) ci ricorda con parole profonde che la morte è “come una livella che rende tutti uguali” e che quando si va “nell’Aldilà” non c’è nessuna differenza tra principi e pezzenti, nobili e nullatenenti, politici e semplici cittadini.

Ma un cristiano di fronte al mistero della morte non può soffermarsi solo alla Livella di Toto’, pur condividendone contenuti e moniti. Il cristiano, in virtù della sua fede in Gesù Cristo che ha vinto la morte e, non a caso, dalla Croce del Golgota dice al Buon Ladrone che “oggi sarai con me in Paradiso”, sa che la morte è solo un momento di passaggio, pur dolorosissimo per chi resta, una prova tante volte incomprensibile, ritenuta ingiusta e crudele per la perdita di un caro e per i tanti sentimenti che si spezzano quando un membro della nostra famiglia, un amico o un semplice conoscente ci lascia. La morte, per i cristiani, detto in maniera piuttosto cruda, è una sorta di “dazio” che si deve pagare per poter essere messi nelle condizioni ideali in attesa della “resurrezione della carne” e della vita eterna a cui come figli di Dio siamo destinati. L’odierna commemorazione dei defunti priva di questa prospettiva di vita eterna diventa un momento intimo fine a sé stesso, privo di speranza e di amore per tutta la vita vissuta nella sua interezza, dall’inizio alla fine.

Pur essendo attimi certamente belli, certamente emozionanti e commoventi per la carica di sentimenti che si prova al cospetto della lapide che ci ricorda il caro estinto o riandando ai momenti di vita trascorsi insieme a lui. Ma Papa Francesco oggi al cimitero di Prima Porta ci ricorda che la prospettiva escatologica dell’uomo e della donna non è la morte – sconfitta dalla Croce di Cristo – ma la “Luce Eterna che è in Dio”. La morte è solo un “mezzo” per arrivarci sorretti dalla fede e dalla speranza. Una prospettiva di vita eterna che S. Francesco sintetizza nella mirabile frase del Cantico “Laudato sì, mio Signore, per Sorella Morte…”. Parole e poesia francescana che sarebbe bene ricordare sempre, non solo il giorno della commemorazione dei morti del 2 novembre.

Orazio La Rocca

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