Intervento

In Ucraina il Papa getta basi per avvicinare “sponde distanti”

“Cosa ci sta dicendo il Signore davanti a questa terza guerra mondiale?– ha domandato ieri il Papa nella Giornata Mondiale dei Poveri -. Ce lo chiediamo”. Ma in ogni caso “bisogna non fuggire“. E “ognuno di noi si deve interrogare davanti a questa terza guerra mondiale così crudele. Davanti alla fame di tanti bambini. Di tanta gente. Posso sprecare i miei soldi, la mia vita e il senso della mia vita senza il coraggio di andare avanti?”.
“E’ Gesù il ponte“, ribadisce papa Francesco. “E’ Cristo Lui il pontefice a cui dobbiamo sempre orientare e attirare le persone. Le famiglie. Le comunità”. E “i ponti si costruiscono a partire dalla preghiera di intercessione. Giorno per giorno. Bussando con insistenza al cuore di Cristo” Così si gettano la basi perché “due sponde distanti e nemiche possano tornare a comunicare“. Jorge Mario Bergoglio ha ricevuto in udienza ilCollegio Nepomuceno. Francesco ha ricordato al riguardo una meditazione del cardinale gesuita Carlo Maria Martini. Intitolata “Un grido di intercessione”. Pronunciata nel gennaio 1991. Al tempo della guerra del Golfo. “Oggi, mentre infuria la guerra in Ucraina, quell’omelia è di grande attualità”, osserva il Papa. In particolare un passaggio sulla preghiera di intercessione. Là dove dice: “Intercessione vuol dire mettersi là dove il conflitto ha luogo. Tra le due parti in conflitto. È il gesto di Gesù Cristo sulla croce”. E qui, secondo il Papa, “tocchiamo il punto centrale:  È Lui la nostra pace. E’ Lui che ha abbattuto e abbatte i muri dell’inimicizia“.
San Giovanni XXIII con la “Pacem in Terris” si propose come una voce profetica in un periodo di guerra fredda. Francesco esorta ad avere nel cuore la stessa ansia di “portare al mondo la luce di Cristo“. L’accostamento di Roncalli e Bergoglio è stato naturale e spontaneo fin dai primi giorni dell’attuale pontificato. Anche se ogni papa ha una sua personalità e un suo stile irripetibile. L’analogia viene dal modo di presentarsi e di comunicare. Molto semplice e spontaneo. Dall’attenzione all’aspetto pastorale di una Chiesa che va incontro alla gente. Il programma di ogni papa è dato dal Vangelo. E dalla sua interpretazione così come si è configurata nella tradizione. Vivendo in un determinato momento storico ciascun  papa è chiamato a “leggere i segni dei tempi“. Come raccomanda il Concilio Vaticano II. I cui documenti sono stati approvati quasi all’unanimità dall’episcopato. E che tutti i papi hanno preso come punto di riferimento.
Non si può dire se un papa sia più conciliare dell’altro. In questi sessant’anni ogni pontefice  ha portato un suo stile e una sua sensibilità. Ma sempre nella scia conciliare. La pastoralità dell’azione di Francesco comporta l’incessante sforzo del dialogo con il mondo moderno. E anche con i lontani che alle volte sembrano apprezzarlo più di alcuni più vicini o vicinissimi. I quali manifestano le stesse paure degli avversari di Gesù. Perché frequentava pubblicani e stranieri. E accettava gesti di venerazione da prostitute. Quella testimoniata da Francesco è una Chiesa che si preoccupa più degli altri che di se stessa. In costante dialogo. Prima di tutto ecumenico. Con i “fratelli separati“. In continuità, con la stessa tenacia, di tutto il movimento ecumenico che il Concilio Vaticano II ha benedetto. Rafforzandolo attraverso i suoi documenti. E ne è una conferma il cambio di atteggiamento e di linguaggio verso gli ebrei. Verso le Chiese non cattoliche. E anche verso i musulmani e i fedeli di altre religioni, riconoscendo “semi del Verbo”. Cioè elementi di verità e di bontà, anche nella loro fede.
Francesco richiama incessantemente una fede autentica. Da incarnare. Capace

di toccare il vissuto degli “scartati” della terra e dell’economia. Si mette in mite controtendenza rispetto a quella che lui stesso denomina “la terza guerra mondiale a pezzi“. Nel volo di ritorno dal viaggio apostolico in Corea il pontefice ha risposto alla domanda di un giornalista giapponese. Oggi, secondo il Papa, “siamo in un mondo in guerra, dappertutto. Siamo nella Terza Guerra Mondiale, ma ‘a pezzi’. E’ un mondo in guerra, dove si compiono queste crudeltà“. Ciò sullo sfondo di una caduta d’interesse per la morale naturale. Con il conseguente tramonto di basi stabili e durature per un genere umano che dispone di strumenti inediti. In un contesto di dilagante potere tecnoscientifico. Fino alla manipolazione e al dominio sull’ecosistema e sulla vita degli individui. Laddove è in pericolo la stessa sopravvivenza dell’umanità. Tra minaccia nucleare e logica del “muro contro muro”.

Giacomo Galeazzi

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