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LA STRADA DELLA DISPERAZIONE

C’è chi si ostina a definirla “bella vita”, ma la prostituzione è un incubo. Non a caso don Oreste Benzi diceva che nessuna donna nasce prostituta, a voler significare che ci sono elementi di costrizione – fisici, psicologici, ambientali o di necessità – che portano su quella strada. Il gravissimo episodio della ragazza massacrata da un cliente nel Torinese, fa vedere anche ai più distratti quanto sia violento e pericoloso quel mondo, che certo non si abbraccia per scelta. Dietro ci sono abbandoni, violenze, molte di loro sono vendute da famiglie che vivono nella miseria. Di fronte al miraggio di un lavoro in Europa, si prospetta un cambiamento di vita che sembra auspicabile.

La realtà poi è diversa, perché quel lavoro promesso non c’è. Sono ingannate e schiavizzate, tenute segregate, senza documenti, minacciate di ritorsioni alle famiglie, controllate sul numero delle prestazioni: una vita da disperate che va contro la dignità della natura umana, dell’essere donna e madre; spesso infatti capita che restino incinta.

Queste donne non hanno bisogno di qualcuno che le giudichi, ma che vada loro incontro, che le aiuti ad uscire dal quel girone infernale che è la prostituzione. A volte avviene attraverso le associazioni, come la Papa Giovanni XXIII, altre con l’aiuto delle forze di polizia.

A livello culturale poi, va detto che c’è un culto della personalità narcisista che esalta la bellezza esteriore, e anche le televisioni propongono come normale tutto il business che c’è dietro al corpo umano, dalla vendita di prodotti fino a terminare con l’offerta stessa della donna o dell’uomo.

Si tende ad eliminare dal dibattito il concetto di costrizione, a farlo sparire, come se vendere e acquistare la bellezza sia sempre una scelta, per di più positiva. Non c’è una canalizzazione della vita corporea, sessuale, che esprima una relazione d’amore fino al matrimonio; è proprio un culto del corpo fine a se stesso, che muove artificiosamente le emozioni e gli istinti, generalmente della parte maschile, con l’obiettivo di spostare denaro.

Il business è ciò che sta dietro ogni proposta di questo tipo; tutto diventa giustificabile, addirittura giusto. E così si perde di vista la reale entità di ciò che accade: persone che si rovinano, donne schiavizzate, e un giro di soldi che taluni vogliono lasciare così com’è.

Strumentalizzare le persone per trarne profitto, è l’unico scopo di chi fa questa sorta di lavaggio del cervello collettivo. Solo quando accadono delitti come quello di Torino ci si ricorda che non tutto è lecito, che quelle donne non sono lì per scelta. Quella non è vita.

Autore Ospite

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