Oggi a Torino, la città più colpita dalla decrescita, dall’aumento della disoccupazione giovanile e dalla povertà, si terranno contemporaneamente la Assemblea della Caritas, il Congresso della Cisl e un Convegno della Fondazione Donat-Cattin sulla riforma dello Stato sociale.
Il capoluogo piemontese, che nel secondo dopoguerra era la Città del lavoro per eccellenza insieme a Milano, oggi è in testa ai primati della disoccupazione giovanile, della Cig, con la metà dei pensionati che non arriva a fine mese e con i 18 km di portici che sono diventati il più grande albergo notturno all’aperto d’Europa.
Un’infografica recentemente pubblicata dal dal Sole 24 ore dimostra gli effetti sulla crescita economica annua dei risultati negativi delle politiche adottate con l’avvento di Monti nel nostro Paese. Nella tabella si vede come dal 2011, mentre il Pil italiano cadeva, negli altri Paesi dell’Euro, in modo diverso, e negli Usa cresceva. La mazzata assestata dal governo tecnico di quegli anni è stata talmente forte che l’Italia non si è ancora ripresa, nonostante le tante riforme annunciate.
Temo quindi non ci saranno risposte soddisfacenti, anche perché non c’è il coraggio di dire che le scelte della fine del 2011 che portarono all’arrivo di Monti furono sbagliate. Il problema non era Berlusconi ma un Paese con bassa crescita dovuta alla scarsa produttività, alle carenze nella logistica, all’ingente costo dell’energia, a una spesa pubblica improduttiva troppo elevata e a investimenti nelle infrastrutture, il capitale del Paese, troppo bassi.
Dopo i risultati modesti di questi anni occorre rapidamente ripartire da allora. E’ necessario rilanciare gli investimenti in infrastrutture che possano portare risultati importanti e positivi sul turismo e sulla logistica oltre a renderci più attrattivi di investimenti esteri.
Bisogna ridurre il costo del lavoro per unità di prodotto e ridurre la pressione fiscale trovando le risorse nel taglio alla spesa pubblica improduttiva. Occorre, infine, ridurre rapidamente il debito pubblico perché appena Draghi sarà costretto a sospendere il quantitative easing il nostro spread ripartirebbe con effetti pesantemente negativi.
Una volta impostata una politica espansiva con un decreto per lo sviluppo si potrà impostare poi il tema della riforma del welfare. Ma se non riparte la crescita anche città, dove il volontariato è nato per iniziativa dei Santi Sociali nell’800, come Torino, rischiano grosso. Il populismo deriva dal forte impoverimento del Paese. Per combatterlo occorre però una politica di sviluppo e di crescita attraverso il forte recupero di competitività del mondo del lavoro e dei territori. Per contrastare il populismo ci vuole una nuova guida politica.
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