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Il garage di Renzi

Il garage è il luogo iconico e leggendario delle start up: in un garage californiano Steve Jobs fondò la Apple; in una stanza di un motel di Albuquerque nel New Mexico – assai prossima al garage – Bill Gates co-fondò la Microsoft con Paul Allen e un paio di junior. Non c’è da stupirsi – anzi – se Matteo Renzi, da sempre appassionato di internet e social, si sia ispirato al garage per la scenografia della Leopolda 5. Peccato, però, che tra il «suo» garage, quello di Jobs e il motel di Bill ci sia di mezzo un mostro che nessuno, neanche il premier, è riuscito, per ora, a castigare: la burocrazia italiana, con le sue regole astruse, i suoi riti iniziatici, le sue onnipotenze scriteriate, i suoi mille e mille azzeccagarbugli.

Ci eravamo illusi che ci si potesse almeno tentare di avvicinare a un futuro prossimo venturo che lasciasse intravedere una Pubblica amministrazione digitalizzata, pronta a dare risposte e servizi in tempo reale ai cittadini, fondata sulla velocità della banda larga. E, invece, ci ritroviamo ancora una volta a fare i conti con una riforma – quella appena approvata in Parlamento e firmata dal Ministro Madia – non solo inutile, ma dannosa proprio su questo vitale terreno.

L’illusione sulla forza innovatrice della legge – come hanno ben osservato acuti addetti ai lavori – ha portato in questi anni a pensare che la norma di per sé producesse il cambiamento. La cronica mancanza di misurazione e valutazione porta a non verificare l’esistenza di un cambiamento concreto e conseguente alla novità normativa. Ma quel che è peggio è che, in generale, di certe norme non se ne comprende il vero bisogno. Ebbene, proprio per quel che riguarda la banda larga o la digitalizzazione delle attività e dei servizi della Pa bastavano meri atti di organizzazione e di gestione: altro che principi di delega, che dovranno tradursi in decreti legislativi e poi in regolamenti e in circolari e chi vivrà vedrà. Un lavoro tanto immane quanto inutile per gli uffici legislativi dei ministeri. Quando, al contrario, ci si poteva e doveva concentrare su chiari atti di indirizzo e, soprattutto, su un piccolo esercito di giovani ingegneri e genietti del web, nativi digitali, da assumere in forza nella Pa.

Con riforme di questo tipo – analoghe se non peggiori rispetto alle decine varate in questi decenni – non c’è da meravigliarsi se poi, secondo un recente studio della Commissione Ue sull’economia digitale, l’Italia risulti quart’ultima in classifica, superando di poco Grecia, Bulgaria e Romania. Un risultato giustamente definito umiliante, che porta a pensare come nel nostro Paese due giovani di talento – i nostri Jobs e Gates – avrebbero rinunciato a priori alle loro idee innovative pur di non immergersi in quel girone infernale che è la burocrazia italiana abbandonata a se stessa anche da questo governo. Nonostante il garage della Leopolda.

Autore Ospite

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