E’ vero, ci sono state sei operazioni di salvaguardia dal 2012 a oggi, tutte realizzate sulla scorta di numeri approssimati e stime provvisorie, tanto che i conti di ognuna si sono rivelati largamente sballati. Tutte compiute, peraltro, sull’onda di spinte più emotive che razionali. Più che leggi, scialuppe di salvataggio calate all’ultimo momento nel mare della disperazione di migliaia di uomini e donne che in una notte di dicembre del 2011 si sono ritrovati con i programmi di vita sconvolti da un comma.
Ma tant’è. Il problema, però, è che, nonostante le salvaguardie, ci sono ancora almeno 50 mila persone che, pur trovandosi nelle condizioni tipiche degli esodati, non hanno avuto a disposizione nessuna scialuppa su cui salire e sono in mezzo ai flutti. Ebbene, se si vuole chiudere davvero la stagione degli eccessi e delle rigidità della riforma previdenziale del 2011, non si può non tenere in conto anche di questi ultimi dannati della previdenza. La soluzione, d’altra parte, c’è ed è a portata di mano.
La deputata del Pd Maria Luisa Gnecchi ha già presentato una specifica proposta per una settima salvaguardia, destinata alla metà degli interessati potenziali. Ebbene, basta un passo in avanti in più e si può chiudere una delle pagine più dolorose nella storia delle riforme previdenziali. Per realizzarlo basta attingere, da qui al 2018, anche solo a una minima parte delle risorse risparmiate nel dare attuazione alla sentenza della Consulta. E allora sì che Matteo Renzi potrà dire di aver compiuto un’operazione di equità previdenziale. E magari saranno anche meno arrabbiati i pensionati rimasti a secco di arretrati.
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