Lo scorso anno sono state 179 le vittime. Mai la percentuale delle donne uccise era stata così elevata rispetto al totale degli omicidi (502): il 35,7%, oltre un terzo. Nel 92,4% dei casi a colpire è una mano maschile e due volte su tre si tratta della mano del proprio partner, coniuge o convivente. L’Eures li definisce «femminicidi del possesso» e spiega che dipendono, generalmente, dalla decisione della donna di interrompere la relazione. Una scelta che provoca una reazione violentissima, piena di odio e rancore. L’ex abbandonato e geloso picchia (5,6%), strangola (10,6%) e soffoca (12,3%). L’area più a rischio nel 2013 si rivelata il sud con un 27,1% di vittime rispetto all’anno precedente, mentre a nord si registra un decremento del 21%. Ma è nelle regioni centrali che il fenomeno raddoppia passando da 22 a 44 casi. Accanto ai cambiamenti di tipo territoriale, il 2013 registra anche la crescita dell’età media delle vittime, passata dai 50 ai 53,4 anni.
Il rapporto Eures conferma che sono le pensionate le vittime prevalenti (35,5%), seguono le casalinghe e le disoccupate (15,1%), le impiegate, le lavoratrici dipendenti, le domestiche, le colf e le badanti (9,9%). Su questa forma di violenza, lo ricordiamo, è intervenuta la Legge n. 119 che ha introdotto alcune misure tese a inasprire le pene per i reati di maltrattamenti in famiglia predisponendo anche l’allontanamento del violento dall’abitazione, introdurre strumenti telematici e di controllo come il braccialetto elettronico, l’arresto in flagranza di reato, la irrevocabilità della denuncia per gravi e ripetute minacce, nonché un pacchetto di misure indicate nel «Piano di Azione straordinario contro la violenza sessuale di genere», al fine di promuovere percorsi formativi ed educativi contro la violenza e le discriminazioni di genere a partire dalle scuole, e a potenziare la rete dei servizi di assistenza e sostegno delle vittime.
Come donne della Cisl, ribadiamo la necessità, oltre ad una corretta applicazione della legislazione vigente in materia, di un’azione concreta di coordinamento, da parte del Governo, delle diverse componenti che agiscono nelle attività di contrasto a questo fenomeno al fine di creare sinergie adeguate a garantire la prevenzione, la protezione, il recupero e il reinserimento sociale delle vittime. Se alle norme non seguono azioni ben collegate ma si procede sempre in “ordine sparso”, gli sforzi, pur encomiabili, rischiano di essere insufficienti e poco incisivi. In questo senso è utile prevedere percorsi che, accanto al recupero psico-sociale della vittima, ne favoriscano il reinserimento lavorativo e professionale. Il recupero effettivo della donna violata passa, infatti, anche attraverso il lavoro da cui deriva la piena riacquisizione della consapevolezza delle proprie potenzialità e il riscatto nella società.
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