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Stiamo celebrando il “mistero pasquale” che comprende cinque momenti culminanti della vita del Signore: Passione, Morte, Risurrezione, Ascensione e Pentecoste (50 giorni dopo Pasqua). L’Ascensione conclude il periodo simbolico di quaranta giorni in cui il Risorto si manifesta ai suoi discepoli: “Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni.” (Atti 1,1-11, prima lettura). I “quaranta giorni” di cui parla qui San Luca non rappresentano un tempo cronologico. Infatti, nella conclusione del suo vangelo, egli parla unicamente del giorno della Risurrezione. Infine, notiamo che la festa è spostata da giovedì a domenica per permettere una più numerosa partecipazione dei fedeli.
Il pastore e teologo protestante Paolo Ricca ha scritto che l’Ascensione è diventata “la cenerentola delle feste cristiane”. L’Ascensione, infatti, è una festa che la Chiesa ha valorizzato poco, forse per il suo aspetto di mestizia dovuto alla “dipartita” definitiva di Gesù. Va detto, tuttavia, che “l’Ascensione è un modo di morire agli occhi e di nascere al cuore” (Michel Deneken, teologo francese). Ma allora perché il vangelo di Luca dice che, dopo l’Ascensione, gli apostoli “tornarono a Gerusalemme con grande gioia”? (Luca 24,52). Perché l’Ascensione è l’altra faccia della Risurrezione, cioè dell’esaltazione di Gesù. Inoltre, in quanto testimoni della sua ascensione, prendono coscienza che, come Eliseo ereditò il carisma profetico di Elia per il fatto di avere presenziato la sua elevazione celeste (2 Re 2,1-14), così anche loro sono gli eredi dello Spirito di Gesù. L’Ascensione però porta anche a noi un messaggio gioioso di una doppia presenza. Da una parte, il Signore Gesù “elevato in cielo” garantisce comunque la sua presenza sulla terra, in mezzo ai suoi. Dice Sant’Agostino: “Cristo non ha lasciato il Cielo quando è disceso tra noi e non ci ha lasciati quando è salito in Cielo”. D’altra parte, noi stando ancora sulla terra siamo già con lui in cielo. La nostra vera abitazione è in Dio ma, con l’incarnazione, la dimora di Dio è l’umanità. L’Ascensione rivela che Gesù è la vera “scala di Giacobbe” che mette in comunicazione terra e Cielo.
Il brano del vangelo scelto per questa festa è la conclusione del vangelo di Marco, chiamata “finale canonica” (Marco 16,9-20), che gli studiosi ritengono non scritta dall’evangelista, ma aggiunta da un redattore anonimo verso la fine del I secolo o inizio del II. È un sommario dei racconti delle apparizioni del Risorto che troviamo in Matteo e Luca, perché il vangelo di Marco sembrava concludersi in un modo brusco e stroncato, con le donne impaurite che scappavano dal sepolcro (Marco 16,8). Questa aggiunta, comunque, è ritenuta dalla Chiesa parte integrante del vangelo.
Vorrei sottolineare la dimensione missionaria dell’Ascensione che non sempre viene messa sufficientemente in rilievo. Generalmente riteniamo la Pentecoste come la “festa della missione”, con l’effusione dello Spirito, la nascita della Chiesa e l’inizio della predicazione apostolica. Tutto questo è vero. Però, non possiamo lasciar passare sotto silenzio che il “mandato missionario” avviene il giorno dell’Ascensione, almeno nei vangeli sinottici, Matteo, Marco e Luca. Oggi, quindi, è la festa dell’invio della Chiesa in missione!
L’Ascensione è, contemporaneamente, il punto di arrivo per Gesù, cioè la fine del suo ministero, e il punto di partenza per la Chiesa, inviata in missione. I tre sinottici, sottolineano il legame stretto tra l’Ascensione e l’invio in missione:
L’ultimo incontro di Gesù con gli Undici è collegato con l’invio in missione. Al movimento verticale di Gesù verso il cielo corrisponde quello orizzontale degli apostoli verso il mondo. Gesù conclude la sua missione sulla terra e si rende “invisibile” per dare spazio, visibilità e responsabilità alla missione dei suoi discepoli sulla terra.
Il brano del vangelo ci offre alcune indicazioni sulla missione:
La festa dell’Ascensione ci suggerisce anche la metodologia della missione. Sebbene la missione si presenta, innanzitutto, come un movimento orizzontale, verso il mondo per costruire la fraternità, in realtà il suo spirito è quello della verticalità: della “kenosi”, cioè l’abbassamento, e dell’elevazione (Filippesi 2,5-11); scendere per risalire. Infatti, “cosa significa che ascese, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra?” (Efesini 4,1-13, seconda lettura di oggi). La missione obbedisce alla legge dell’incarnazione: scendere per poi risalire. Scendere vuole dire “farsi servo di tutti”, “farsi tutto per tutti” (1 Corinzi 9,19-23), inculturarsi per fare causa comune con ogni uomo e donna. Risalire è il movimento dell’elevazione dell’umanità e della creazione verso Dio. La missione è il travaglio dell’ascensione del mondo.
I due angeli dell’Ascensione annunciano agli apostoli: “Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”. L’Ascensione comporta la speranza nel ritorno di Cristo per prenderci con sé. Oggi non sappiamo più aspettare. In ogni Eucaristia ripetiamo: “Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta”! Ma quanti l’attendono davvero? Scrisse Paul Tillich, uno dei maggiori teologi del XX secolo: “Penso a quel teologo che non aspetta Dio perché lo possiede chiuso in un edificio dottrinale… Penso a quell’uomo di chiesa che non aspetta Dio perché lo possiede racchiuso in una istituzione. Penso a quel credente che non aspetta Dio perché lo possiede nella sua propria esperienza. Non è facile sopportare di non avere Dio, di doverlo aspettare”.
La missione ha pure come compito di conservare viva la speranza e di aiutare l’umanità a tenere accesa la lampada della fede nell’attesa del ritorno dello Sposo. Sul ritorno di Cristo, infatti, incombe uno dei più inquietanti interrogativi del vangelo: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Luca 18,8).
Per la riflessione settimanale vi propongo di meditare sulla seconda lettura: Efesini 4,1-13.
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