L’altra sera, Rai uno in occasione del primo maggio, ha trasmesso il film Pane e Libertà dedicato a Giuseppe Di Vittorio, interpretato dal bravissimo PierFrancesco Favino. Il film è stato avvincente: ha emozionato per aver così bene raccontato la grande carica umana del grande sindacalista, e per aver così efficacemente descritto trent’anni di storia d’Italia, carichi di significato, di ammonimenti, di insegnamenti. Senza dubbio furono quelli gli eventi storici che alimentarono quella energia essenziale per consentire all’Italia di ottenere un benessere economico tra i più importanti del mondo, sostenuto da un quadro democratico che l’ha molto cambiata. Il film ha ben raccontato di un paese che fino a pochi decenni fa viveva ancora influenzato da retaggi feudali: soprusi, violenze, privilegi insopportabili, mancanza di certezza del diritto soprattutto ai danni dei poveri e dei lavoratori. Quello che ho pensato, stimolato dal film, è che probabilmente gli italiani hanno cancellato molto presto gran parte della propria memoria storia. Non si spiegherebbe diversamente l’indifferenza verso i poveri di oggi: gli immigrati, che si occupano di lavori che noi non vogliamo fare; eppure sono molti coloro che sono indifferenti verso la loro condizione, quando addirittura non ostili. Non vedo alcuna differenza tra la loro storia e quella dei braccianti italiani di appena qualche decennio fa. Gli italiani di allora come gli immigrati di questa epoca sono accomunati dalla stessa sete di giustizia, di progresso, di cittadinanza. Ecco il film ‘Pane e Libertà’, secondo me, ha saputo davvero suscitare grande emozione ed importante riflessione su quello che siamo stati e su come dovremmo essere. Ha ben raccontato una storia che genitori e scuola dovrebbero custodire e trasmettere ai giovani per meglio preparare il futuro. D’altronde si sa: un popolo che perde la sua migliore storia, perde anche la possibilità di ottenere un buon futuro.
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