Editoriale

L’unità che dovrebbe caratterizzare la festa nazionale

Il 25 aprile, proclamata Festa della liberazione, intende ricordare la liberazione del Paese dalla occupazione nazista e dal fascismo, nella ricorrenza del giorno in cui, nel 1943, il Comitato di liberazione nazionale proclamò da Milano l’insurrezione generale per diffondere l’impegno alla Resistenza e rafforzare l’azione dei partigiani, intendendo anticipare l’arrivo delle truppe alleate. A seguito di quelle vicende, in un contesto di crisi della monarchia, un decreto legislativo luogotenenziale del giugno 1944 stabilì che dopo la liberazione si sarebbe scelta la forma di stato, repubblicana o monarchica, con un referendum istituzionale; contemporaneamente sarebbe stata eletta a suffragio universale una Assemblea costituente.

La costituzione repubblicana è legata a quelle vicende, e si contrappone al precedente regime, pur nella continuità di uno stato che si fa carico della propria storia. La rottura politica con il passato è espressa e resa evidente dalla stessa costituzione. L’articolo 139 stabilisce che “la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”. Non si esclude solamente che sia possibile il ritorno a una forma di stato monarchica. Si stabilisce anche, nel testo approvato dall’Assemblea costituente, con un divieto abrogato nel 2002, che “agli ex re di Casa Savoia, alle loro consorti e ai loro discendenti maschi sono vietati l’ingresso e il soggiorno nel territorio nazionale”.

La rottura con il fascismo trova altrettanto netta espressione nella XII disposizione transitoria, che vieta “la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista” e in deroga al diritto elettorale attivo e passivo, assicurato a tutti in condizioni di eguaglianza, prevede che fossero stabilite con legge per un quinquennio, idoneo a coprire la prima tornata elettorale, “limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i responsabili del regime fascista”.

Le vicende di quegli anni fanno parte della storia nazionale, non possono essere dimenticate e su di esse è lecita anche una diversità di valutazioni, ma altrettanto non possono essere elemento per perpetuare conflitti. Purificare la memoria significa guardare al futuro, nella prospettiva di una comunità che si riconosce nella costituzione, nei valori di democrazia, di libertà e di solidarietà che ne costituiscono elementi essenziali. Questo è il significato più profondo di una festa che per essere nazionale vuole essere di tutti, che unisce e non divide né esclude.

La diversità di opinioni, la loro libera diffusione e la competizione degli orientamenti e dei movimenti politici animano la democrazia. Eppure vi è una solidarietà di fondo nella comunità nazionale, che la costituzione manifesta quando prevede che ogni membro del Parlamento, che pure è politicamente di parte, “rappresenta la Nazione”, si fa carico di una prospettiva legata a un interesse comune e generale.

Nelle polemiche tra personalità politiche, che animano le cronache di questi giorni, non si respira un simile spirito. Rivendicare o escludere, come ogni contrapposizione su valori comuni, non aiuta a manifestare e consolidare l’unità che deve caratterizzare la festa nazionale. C’è da chiedersi se e quanto questo clima sia lontano dalla sensibilità del Paese.

Cesare Mirabelli

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