Editoriale

Querido Kazakhstan, un papa argentino pensa anche a te

Forse ora tutto sarà più facile, vista la piega che gli eventi stanno prendendo in Ucraina. Perché è chiaro che non solo di parere medico si tratta, quando Papa Francesco pondera e soppesa gli effetti e le potenzialità dei due viaggi che più sogna di fare: a Mosca e a Kiev. Certo che la cornice del suo eventuale incontro con Kirill è cambiata, e anche qui non si tratta solo dell’esortazione a non fare di sé il chierichetto del potere. Anzi, i due potrebbero davvero incontrarsi, ma chi lo sa, adesso che Bergoglio arriva in Kazakhstan, e Kirill fa altrettanto: territorio neutro, islamico, adatto alla ripresa dei contatti dopo qualche incomprensione di troppo. La via della pace passa dai luoghi più lontani e attraversa paesaggi sconosciuti.

La steppa come luogo di dialogo è concetto di grande originalità: siamo abituati a vederla con gli occhi di Michele Strogoff, terra d’avventure e ferocie, al massimo a ricordarne il ruolo di culla di Selgiuchidi, orde d’oro e tamerlani. La circostanza rafforza i pregiudizi. Niente di tutto ciò perché il Kazakhstan, dove Bergoglio prende parte al Terzo Congresso dei leader religiosi mondiali, è piuttosto erede di un islam in versione turanica, il che comporta minori steccati e rigidità rispetto all’interpretazione, anche sunnita, che se ne ha nei paesi arabi. Del resto questo è il paese in cui le 37 tribù mongole della tradizione trovavano il loro posto in un dipinto nell’anticamera dello studio di Nursultan Nazarbaiev, che aveva guidato Partito Comunista e Kgb locali prima di proclamare, di persona, l’indipendenza dall’Urss. Finita l’ideologia, per tenere insieme i suoi trovò nell’idea di un passato lontano a sufficienza per non spaventare nessuno il collante di una nazione pressoché inesistente.

O, meglio, di tante nazioni giacché – la cosa di certo non dispiace al Pontefice della Fratelli Tutti – questo è uno dei paesi asiatici con il maggior numero di minoranze rispetto alla conta complessiva degli abitanti. Oltre a chi vanta ascendenze mongole, aiutati da una densità abitativa decisamente scarsa vivono sulla sua terra senza troppe tensioni russi e persino tedeschi, entrambi frutto di stratificazioni storiche. Dei russi è facile immaginare la provenienza e l’epoca dell’arrivo. Dei tedeschi in pochi conoscono l’errare per l’Asia: i loro padri vennero sistemati sul Volga dalla Zarina Caterina, anch’ella tedesca, ma quando Berlino lanciò l’Operazione Barbarossa al Cremlino Stalin ne decise la deportazione. Scontarono così l’aver conservato la tradizione la lingua e la religione: ancora adesso in Kazakhstan sono loro, nelle loro case spesso povere sperdute nella piana, a costituire il cuore della comunità cattolica. Sono l’uno per mille della popolazione totale e giovani sacerdoti dal grande cuore portano studenti occidentali arrivati a scrutare questo particolare teatro delle relazioni internazionali in giro per le lande, a celebrare la messa dove e quando si può. Sì, il parallelo non può che emergere prepotente: esattamente come in Amazzonia, dall’altra parte del mondo, in un oceano che non è fatto di arbusti ma di alberi giganteschi. Querido Kazakhstan, un papa argentino pensa anche a te.

Il Centrasia, del resto, è stata forse la prima regione del mondo a registrare gli immensi disastri ambientali generati dall’uomo che volle farsi Creatore: era l’epoca di Brezhnev quando il Mare di Aral divenne terra desolata. Anche di questo parlerà il Pontefice, che si presenterà di persona a queste genti e a queste latitudini, sapendo però che anche la steppa finisce, e oltre la steppa si alzano monti alti quattromila metri (li si vedono anche da Almaty) e oltre quei monti altre vette vanno superate e deserti attraversati per arrivare là dove si vuole, oltre l’Altaj e oltre il Gobi. Oltre tutto questo c’è l’antica Khanbaliq, che oggi siamo abituati a chiamare Pechino. Ecco perché non è solo questione di parere medico, quando nella Sacre Stanze si pensa a certi viaggi. E se la situazione in Ucraina forse sta cambiando, e se forse Kiev e Mosca potrebbero farsi mete più vicine, ma chissà, il Papa dal ginocchio dolorante certi progetti non li abbandona. Sapendo che la via della pace, della fratellanza, attraversa mari e monti, campi minati e trincee piene di fango. Sennò sarebbe troppo facile.

Nicola Graziani

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