Editoriale

L’insieme dei diritti e dei doveri contenuti nella Pacem in terris

L’attualità della Pacem in terris (=PT) come alternativa a concezioni della democrazia di tipo populista, oligarchico, meramente strumentale e procedurale che indeboliscono lo Stato di diritto. Visioni, queste, chiaramente rigettate e superate anche dalla successiva enciclica Centesimus annus (=CA) di san Giovanni Paolo II. Per il pontefice polacco la democrazia non è solo un insieme di regole procedurali, ma è anzitutto fondata sulla comunione di beni-valori, è sostenuta da un ordinamento giuridico (da uno Stato di diritto) e da una attività legislativa personalisti. La democrazia senza una verità oggettiva sull’uomo e senza il riferimento a beni-valori certi cade facilmente preda di totalitarismi aperti o subdoli (cf CA n. 46). Oggi è ampiamente riconosciuto che la crisi della democrazia, forma di governo piuttosto diffusa presso i popoli contemporanei, è soprattutto – oltre che crisi istituzionale e partecipativa – una crisi morale, una crisi di valori.

È necessario, allora, il recupero di quest’ultimi, ai due livelli, personale e sociale. Alla stagione dei diritti deve affiancarsi la stagione dei doveri, intesi però non come meri imperativi categorici imposti dalla volontà umana, bensì come azioni richieste dall’ordinamento a Dio Sommo Bene. Ma, se i più convengono sull’urgenza della riforma strutturale e morale della democrazia, ritrovando una nuova unità attorno a beni-valori comuni, pochi sembrano disposti a riconoscere loro un qualche radicamento oggettivo nell’ordo ad Deum, come anche ai doveri-diritti. Così, se molti parlano dell’urgenza della riforma delle regole del gioco della democrazia, pochi credono in una società politica basata anzitutto sulla comunione: come comunicazione e condivisione di conoscenze nella luce del vero; come impulso e richiamo al bene morale; come nobile comune godimento del bello, in tutte le sue legittime espressioni; come permanente disposizione a effondere gli uni negli altri il meglio di se stessi; come anelito ad una mutua e sempre più ricca assimilazione ai valori spirituali. E’ utile illustrare l’apporto della PT specie per quanto concerne gli ordinamenti giuridici e l’amministrazione della giustizia nelle democrazie odierne. Nessuna convenzione tra esseri umani, nessun consenso, nessuna necessità puramente logica può di per sé rendere ragione di un obbligo che s’impone a persone libere e responsabili. Neanche l’appello a valori intesi in senso «soggettivistico», ossia a “valori-costruzioni” del soggetto psichico, quali «oggetti» creati dal sentimento, dalla volontà, dalla ragione, aventi una valenza che non è «oggettiva» o «reale», ma solo «intersoggettiva» ed «ideale» o «di coscienza».

Se i valori sono costruzioni artificiali, entità meramente concettuali, senza fondamento nella realtà extramentale e psichica, allora le scelte perdono senso. E ciò perché il loro contenuto diventa incommensurabile. La conseguenza è che tutte le scelte diventano equivalenti. Ogni scelta avrebbe valore non perché ragionevole e fondata, bensì perché così ha deciso il soggetto. Non c’è più la possibilità di valutare le scelte con criteri universali, che valgono indipendentemente da esse. Ogni scelta pone i suoi valori e basta. O gli ordinamenti giuridici usufruiscono del riferimento ad un’esperienza morale inclusiva di Dio – Bene trascendente perfettissimo, da amare come fine ultimo della vita – o vengono meno motivazioni forti ed incondizionate per la loro realizzazione. Detto altrimenti, la benevolenza nei confronti degli altri, singoli o popoli; la giusta collaborazione per dar luogo ad istituzioni e ad ordinamenti giuridici internazionali secondo le esigenze del bene comune mondiale; l’adempimento di norme e doveri; la pratica delle virtù sono vissuti con più determinazione e perseveranza: non solo per sé stessi, per amore dei beni dell’uomo, bensì anche ultimamente per amore di Dio. Grazie a questo amore, il fondamento dei diritti diventa più sicuro, meno precario ed ambiguo. I diritti poggiano sul perché le persone e i popoli debbono essere ciò che sono in germe: esseri aperti al compimento in Dio, ovvero esseri trascendenti.

In tal modo, gli ordinamenti giuridici, lo ius positum internazionale, la laicità degli Stati non sono in balia di coscienze relativistiche o utilitaristiche. Nella PT, nella quale lo Stato di diritto è intrecciato con lo Stato sociale democratico, si incontra la presentazione di una lista di diritti e doveri che hanno un fondamento metapositivo e che sono da intendersi come diritti universali, inviolabili, inalienabili, indivisibili: i diritti civili e politici non si possono realizzare, ad esempio, senza i diritti sociali. Una simile concezione aiuta a contrastare le odierne posizioni dell’opinione pubblica o di politici secondo i quali il necessario risanamento dei conti pubblici e la crescita sono da conseguire, in un contesto di crisi finanziaria e di recessione economica, anche a prezzo della riduzione dei diritti sociali – si parla qui di diritti fondamentali, non di riduzioni concordate del salario, di acquisizioni secondarie pure attribuite ai diritti dei lavoratori, come i soggiorni in case estive a spese dell’impresa o altre facilitazioni –, dello smantellamento dello Stato sociale  e delle reti di solidarietà della società civile, nonché della sospensione della democrazia.

L’insieme dei diritti e dei doveri della PT comprende la tutela e la promozione del diritto al lavoro (n. 10), che oggi viene sottodimensionato da quella cultura neoliberista, tipica del capitalismo finanziario sregolato, secondo cui il lavoro è un «bene minore» o addirittura un bene facoltativo. Il lavoro, invece, è un bene fondamentale per la persona, per la sua socializzazione, per la formazione di una famiglia, per contribuire al bene comune e alla realizzazione della pace.

mons. Mario Toso

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