Editoriale

Francesco accende una fiaccola nel buio

Ciò che papa Francesco rappresenta per l’umanità in pandemia va al di là dell’appartenenza religiosa e ne fa il portavoce universale degli ultimi. Il Pontefice colloca la Chiesa sulla scia dei “contemplativi che sono sostegno per i deboli. Fari che segnalano il porto. Fiaccole che illuminano la notte. Sentinelle che annunciano il nuovo giorno“. In un mondo che troppe volte è duro con il peccatore e molle con il peccato, c’è bisogno di coltivare un forte senso della giustizia. Il Pontefice esorta a ricercare e mettere in pratica la volontà di Dio. Perciò, dentro una cultura dell’indifferenza, che finisce non di rado per essere spietata, lo stile di vita deve essere colmo di pietà. Carico di empatia, di compassione, di misericordia, attinte ogni giorno dal pozzo della preghiera. Una visione profetica, fatta di misericordia e di tenerezza. Dio è innamorato degli esseri umani. Si fa piccolo per aiutarli a rispondere al suo amore. Francesco testimonia una Chiesa che deve operare facendo attenzione ai segni dei tempi, senza cedere alla comodità del conformismo, ma lasciandosi ispirare dalla preghiera. Un’esortazione a camminare saldi nella fede in Gesù Cristo, saldi nella verità del Vangelo.Una delle innovazioni più rilevanti del Concilio Vaticano II, nella sua prima fase di rinnovamento ecclesiale, fu quella di riprendere la categoria “Popolo di Dio”, di sapore
prettamente biblico. Nella costituzione conciliare “Lumen Gentium“, il secondo capitolo porta come titolo “Il Popolo di Dio”. Una prospettiva che permise al Concilio di superare la visione piramidale e clericale propria del modello di Chiesa-istituzione. Dei membri
di questo Popolo disse, appunto, che “i battezzati vengono consacrati per formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo”. Che partecipano pure “dell’ufficio profetico di Cristo”. E che “la totalità dei fedeli, avendo l’unzione che viene dal Santo, non può sbagliarsi nel credere”. E “manifesta questa sua proprietà mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo”. Inoltre, seguendo la stessa logica, nel capitolo quarto, dedicato ai laici nella Chiesa, asserì solennemente che nel Popolo di Dio che è la Chiesa “vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all’azione comune a tutti i fedeli nell’edificare il corpo di Cristo“.Francesco dimostra di aver assimilato profondamente questa prospettiva. Lo lascia trasparire costantemente nei suoi scritti. Nella sola esortazione “Evangelii Gaudium” usa per ben 164 volte la parola “popolo”. Ciò emerge soprattutto nel suo modo di agire come vescovo di Roma e come papa della Chiesa universale. Il gesto di chinarsi davanti al popolo credente radunato in piazza San Pietro il giorno della sua elezione per chiedere una preghiera di benedizione per lui prima di dargliela lui stesso. “Facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me”. Un gesto carico di significato che implica la visione di una Chiesa in cui non c’è divisione tra coloro che la presiedono e gli altri suoi membri. Tutti e ognuno sono membri, allo stesso titolo radicale, dell’unico Popolo di Dio in Cristo. Pur nella diversità dei servizi. “La Chiesa siamo tutti. Dal bambino recentemente battezzato fino ai vescovi, al Papa. Tutti siamo Chiesa e tutti siamo uguali agli occhi di Dio!”, disse in una delle udienze pubbliche al ritorno del suo primo viaggio internazionale in Brasile. E lo ribadì con forza in un’altra: “La Chiesa siamo tutti, tutti! Tutti noi! Tutti i battezzati siamo la Chiesa, la Chiesa di Gesù”.

Giacomo Galeazzi

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