Editoriale

Covid: perché la sottovariante Kraken sembra essere più trasmissibile

Fin dall’inizio della campagna vaccinale, c’è stato nella comunità scientifica un ampio dibattito sul tempo che doveva intercorrere tra le prime due dosi di vaccino, perché si temeva che, prolungandolo oltre le 3-4 settimane, potesse verificarsi una ridotta risposta al vaccino. Una ricerca (Nicolas A. e altri) condotta in due coorti geograficamente distanti, ha mostrato che un intervallo di 16 settimane aumenta la risposta e la maturazione delle cellule B, rispetto alle sole tre settimane. Lo stesso intervallo di 16 settimane ha invece un impatto limitato nei confronti della risposta delle cellule T, sia CD4+ che CD8+. Per questo motivo, la conclusione a cui giunge questa ricerca è che un intervallo di 16 settimane ha un impatto favorevole sul compartimento delle cellule B (immunità umorale), ma minimo su quello delle cellule T (immunità cellulare).

Uno studio (Aurisicchio L e altri) condotto in 68 adulti sani, ha valutato l’efficacia e la sicurezza di un vaccino a DNA che codifica per il recettore di legame (RDB) della proteina spike di SARS-CoV-2 (COVID-eVax). Il vaccino è stato ben tollerato: gli effetti avversi sono stati solo lievi o moderati (dolorabilità, dolore ed ecchimosi nella sede di inoculo, mal di testa, malessere ed affaticamento) e sono risultati meno frequenti dopo la seconda dose. Ad 8 mesi, c’è stata una risposta immunitaria buona in termini di presenza di anticorpi leganti, anche se non si sviluppavano anticorpi neutralizzanti e l’immunità mediata dalle cellule T è stata particolarmente rilevante. Questo risultato è interessante, non solo per stimolare ulteriori studi nell’ambito COVID-19, ma per l’applicazione ad altri settori ed in particolare nell’oncologia.

In queste ultime settimane c’è stato un importante aumento di contagi negli Stati Uniti dovuto alla diffusione di una nuova sotto variante, che rientra sempre nel c.d. sciame di Omicron, XBB1.5 (Kraken), forma ricombinante evolutiva di XBB1 (Grifon). Al momento non ci sono nella letteratura scientifica molti dati a disposizione su questa sotto variante, esiste un’unica ricerca condotta in Cina, non ancora pubblicata, ma presente nelle piattaforme (Can Yue e altri), che ha mostrato che la maggiore trasmissibilità di XBB1.5 sembra essere dovuta alla migliore capacità di legarsi all’ACE2 ed anche alla immuno-evasione nei confronti degli anticorpi specifici anti SARS-CoV-2.

Questa ultima caratteristica sembra essere dovuta alla presenza della mutazione F486P che c’è in Kraken, ma non in Grifon. Come conseguenza dell’immuno-evasione, gli anticorpi monoclonali impiegati in terapia: evusceld e bebtelovimab non neutralizzano nè XBB1 né XBB1.5, mentre sotrovimab resta debolmente reattivo e SA55 altamente efficace. Solo ulteriori studi chiariranno meglio la natura di questa nuova sotto variante XBB1.5 e soprattutto dovranno confermare gli iniziali dati che la indicano dotata di una minore patogenicità rispetto alle varianti pre-Omicron. Uno studio (Tan S.T. e altri) ha dimostrato che sia l’immunità conseguente alla vaccinazione che quella acquisita in modo naturale, riducono l’infettività delle persone con infezione da SARS-CoV-2, variante Omicron. Infatti, i dati di sorveglianza acquisiti nel periodo dicembre 2021-maggio 2022 in 35 prigioni statali della California, in una popolazione prevalentemente maschile, hanno indicato che i casi di Omicron dei non vaccinati presentavano un rischio del 36% di trasmettere l’infezione ai contatti stretti rispetto al 28% dei vaccinati.

Ulteriori analisi hanno poi stimato che la vaccinazione, l’infezione naturale e la vaccinazione più l’infezione riducono il rischio di trasmissione da un caso indice, rispettivamente del 22%, 23% e 40%. È altresì importante ricordare che le dosi di richiamo del vaccino riducono ulteriormente il rischio di trasmettere l’infezione da parte dei vaccinati infettati. Da questi risultati emerge, quindi, che anche se gli individui vaccinati e/o precedentemente infetti sono contagiosi dopo l’infezione da SARS-CoV-2, la loro contagiosità è ridotta rispetto ai soggetti non vaccinati e non precedentemente infetti. Questo importante risultato sottolinea in modo chiaro il beneficio della vaccinazione per ridurre la trasmissione, anche se non è in grado di eliminarla.  È stata condotta una ricerca (Malato J. e altri) utilizzando il registro portoghese COVID-19 (SINAVE) che include tutti i casi notificati di infezione nel paese sulla base di un test positivo indipendentemente dalla presentazione clinica, per indagare il rischio di infezione da Omicron BA.5 in una popolazione altamente vaccinata (98%) e precedentemente infetta con le varianti Omicron BA.1 e BA.2. Dall’analisi dei risultati è emerso che l’immunità ibrida dopo l’infezione da Omicron BA.1 e BA.2 rispetto all’immunità solo vaccinale, determina una migliore protezione rilevabile fino ad 8 mesi nei confronti della reinfezione da Omicron BA.5.

Prof. Roberto Cauda

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