Editoriale

Cosa accadrebbe in Europa se cambiassero i tassi di interesse

La Fed annuncia che a marzo alzerà i tassi d’interesse, cambiando l’impostazione per la prima volta dopo il 2018; periodo piuttosto lungo considerando le abitudini statunitensi. Questa decisione viene motivata dall’esigenza di arginare il pericolo provocato dal mix di inflazione e pandemia, che potrebbe danneggiare il mercato del lavoro che al momento, precisa il presidente della Fed Powell, essere molto solido.

C’è da dire che comunque questa annunciata decisione avrà ripercussioni anche per il Vecchio Continente, che è bene ricordare che da molti anni pratica tassi bassissimi che hanno di certo aiutato l’Italia che tuttavia permane ancora stabilmente tra i paesi più indebitati, per la pratica mai interrotta dei governi italiani a distribuire a piene mani bonus e sostegni vari a chiunque interessi le forze politiche in cerca di consensi. E mentre oltre oceano annunciano cambiamenti, le attuali autorità della Banca Centrale europea si limitano a rassicurare che si continuerà con tassi invariati, ma nel contempo Bundesbank dà segni di contrarietà a far restare le cose come sono.

I Banchieri tedeschi, è bene ricordarlo, hanno sempre osteggiato sia i bassi tassi di interesse decisi dalla BCE, come il congelamento delle regole di Maastricht, così come i prestiti e fondi in conto capitale affidati per i piani di ripresa, in primis agli italiani. Insomma hanno mostrato in tante occasioni di avere molte riserve sul buon utilizzo delle opportunità da parte dei paesi indebitati. Ora che l’inflazione alza la testa, e con il cambiamento di linea degli americani, sicuramente avranno più chance che nel passato nel far passare il loro rigore a fronte di una situazione mondiale in subbuglio, che non promette nulla di buono. Non senza difficoltà, sinora, Angela Merkel li ha condotti su una strada per loro scivolosa. Con l’inflazione in rialzo avranno più argomenti per convincere i cittadini comuni che risentono ancor oggi del dramma di quasi cent’anni fa dei guasti disastrosi di una inflazione spropositata manifestatasi ai tempi della Repubblica di Weimar che per l’acquisto di un chilo di burro, non bastava un miliardo di Marchi, e che generò un tale sbandamento tra i tedeschi che li portò in braccio alla follia nazista.

Gli italiani intanto, stando alle preoccupazioni della politica sono attratti da altri pensieri pur subendo il 3,8 % di inflazione, come capita altrove, devono fare i conti con rincari esorbitanti dell’energia, del conseguente aumento dei trasporti delle merci e delle persone. Questi fenomeni, insieme al rincaro dei prezzi dei beni di importazione e della notevole liquidità immessa nei circuiti economico sociali per sostegni ad imprese e lavoratori, hanno generato in poco tempo una inflazione ormai temibile.

Se dovesse cambiare il vento sui tassi d’interesse in Europa, la situazione precipiterebbe per i seguenti motivi: il debito in un battibaleno diventerebbe più alto, dovendo comprare denaro in prestito con costi maggiori; le materie prime seguirebbero aumenti della stessa intensità, così come ogni altro bene, i mutui delle famiglie e delle imprese sconquasserebbero i loro bilanci. Insomma chi ha poco perderà molto, chi ha molto guadagnerà tendenzialmente molto di più.

I media in queste ore affermano che la politica è assorbita dalla elezione del Presidente della Repubblica, e le attenzioni sono tutte concentrate in questo evento. Ma a ben pensarci, ogni occasione politica in Italia distrae l’attenzione dalle urgenze sociali ed economiche. Eppure le incombenze che si prospettano nell’orizzonte sono serie e bisognerà occuparsene davvero, pena disastri molto costosi. Dipenderà da come si governerà l’economia, da come collaboreranno le istituzioni, da come si saprà conservare al comando della “Nave Italia” un comandante di grande esperienza e prestigio come Mario Draghi, che come nessun altro conosce ogni porto dei tanti mari sparsi nel mondo.

Raffaele Bonanni

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