Diabolerie

Trent’anni di abusi. Incubo per generazioni di minori

Abusi sepolti dall’omertà. Per oltre trent’anni, dalla sua fondazione nel 1977, il Forteto è stato molte cose. Il marchio su un’etichetta di un panetto di burro. Un’azienda agricola in provincia di Firenze da quindici milioni di euro. E un rifugio sicuro per bambini problematici. Cioè una comunità di recupero indicata dalle istituzioni italiane come modello da seguire.

Mistero sugli abusi

Ma questa immacolata immagine pubblica nascondeva una realtà diversa. Un mondo dominato dal fondatore, Rodolfo Fiesoli detto ”Il profeta”. Un mondo chiuso e impenetrabile regolato da violenza, umiliazione, ricatto e abusi. Una setta da cui uscire era quasi impossibile. La docu-serie in due parti, “Il Forteto”, in onda su Crime+Investigation (canale 119 di Sky) dà voce ad alcuni testimoni diretti della vicenda. Assegnati alla comunità dagli assistenti sociali per uscire da famiglie disastrate da abusi, droga, povertà. Una volta entrati al Forteto, Fiesoli spiegava loro che maschi e femmine dovevano vivere separati. Le donne, considerate esseri inferiori, erano obbligate a tagliarsi i capelli e vestirsi da maschi.

Nucleo

La famiglia tradizionale veniva raccontata come un nucleo chiuso e opprimente. Mentre nel Forteto regnava la famiglia funzionale. Coppie aperte, bambini figli di tutti. Ogni problema personale nascondeva un trauma di natura sessuale. I bambini erano forzati ad ammettere fantasie sessuali, vere o fasulle che fossero. Chi non le ammetteva veniva messo alla gogna, umiliato, emarginato, picchiato.

Arresti

Rodolfo Fiesoli e il suo vice Luigi Goffredi furono arrestati la prima volta nel 1978 con l’accusa di plagio e molestie sessuali su una ragazzina con problemi psichici. Tornarono dopo pochi mesi al Forteto come vincitori e vi rimasero per quasi trenta anni. I genitori naturali erano tenuti lontani dai figli ospitati al Forteto. Ma è grazie all’ostinazione e il coraggio di una madre che si aprì finalmente un varco nel muro di omertà. Dorina Scozzari riuscì a portare il caso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo. E lo Stato italiano venne condannato nel 2000 a risarcire la sua famiglia. Fu un primo passo verso la giustizia.
Gianluca Franco

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