Curiosità

Cos’è il Citrobacter: il batterio che spaventa le mamme e uccide i neonati

Come se non bastasse la paura per il contagio da Coronavirus ecco che arriva il Citrobacter. Che cos’é? Definito il batterio killer, è la causa di gradi danni al cervello dei neonati. Una situazione che sta seminando grande panico in Italia dopo l’allarme partito dall’Ospedale della Donna e del Bambino di Borgo Trento a Verona. Qui il batterio letale dal 2018 ha provocato la morte di 4 bambini e diverse gravi encefaliti.

Il Citrobacter può davvero “bruciare il cervello” dei neonati e l’aspetto che più spaventa è che di questo si conosce ancora poco. Per ora, purtroppo, sembra che però si stia rivelando resistente a ogni tipo di antibiotico.

L’allarme è scoppiato in seguito al caso di una bambina nata a Verona ad aprile 2019 morta al Gaslini di Genova per aver contratto il batterio che ha colpito il cervello. Stessa sorte toccata a un bimbo di 6 mesi la scorsa estate. Contagiati, infine, una decina di bimbi, finiti in stato vegetativo.

La situazione ha portato l’Ospedale della donna e del bambino di Borgo Trento a Verona a chiudere, il 12 giugno scorso, il punto nascite e a trasferire i reparti di pediatria e terapia intensiva neonatale per procedere con la sanificazione degli ambienti.

Come nasce il batterio killer

Il Citrobacter è un batterio gram-negativo che appartiene alla famiglia delle Enterobacteriaceae (la stessa dei generi Escherichia, Salmonella e Shigella). Isolate per la prima volta nel 1932, le specie di Citrobacter possono infettare uomini e animali e riscontrarsi nelle acque, nei suoli e nei cibi contaminati. Le categorie di persone più colpite sono i neonati, con una maggiore incidenza tra i prematuri.

Questa infezione causa ascessi intracerebrali e complicazioni tra cui edema cerebrale, meningoencefalite necrotizzante diffusa, ventricolite, cerebrite, empiema, pneumatocefalo, idrocefalo cerebrale e grave insufficienza neurologica e convulsioni. Negli adulti possono causare malattie invasive e infezioni del tratto urinario, delle vie respiratorie, della pelle, ecc… Il tasso di mortalità è del 30%; i bambini sopravvissuti possono rispondere bene alle terapie e guarire senza riportare lesioni cerebrali anche se sono più frequenti i casi di piccoli pazienti che restano con danni irreversibili, ritardi e paralisi cerebrale.

Nella maggior parte dei casi di tratta di un’infezione sporadica, sebbene nella letteratura scientifica siano stati descritti focolai.

Causa, contagio e sintomi del Citrobacter

Da un’indagine chiesta dalla regione veneto è emerso che il Citrobacter si sarebbe annidato nel rubinetto dell’acqua utilizzata dal personale della Terapia intensiva neonatale dei due nosocomi veronesi.

A questa conclusione è giunta la commissione esterna coordinata da Vincenzo Baldo, ordinario di Igiene e Sanità pubblica all’Università di Padova. Il Ctrobacter si sarebbe formato nel rubinetto a causa di un mancato o parziale rispetto delle misure igieniche, ma anche il ricorso all’acqua del rubinetto e non a quella sterile può essere stato l’errore fatale degli operatori.

Un altro mezzo per l’infezione sono stati i biberon. Senza dimenticare l’igiene delle mani

Nella relazione i commissari concludono che «il volume di prodotti ad uso di soluzione alcolica per l’igiene delle mani è stato al di sotto degli standard minimi Oms nel 2018 e poco al di sopra nel 2019.

Questi valori non possono comunque essere considerati sufficienti data la tipologia di pazienti gestiti. Infatti il valore di riferimento Oms non è accettabile in ambito intensivistico». Episodi di incuria nell’igiene sono stati descritti anche dalle mamme che hanno finora testimoniato in Commissione e in Procura.

Gli stessi commissari ne riportano una parte parlando di «comportamenti non corretti rilevati dal 15/05/2020 al 26/05/2020». Eccoli, alcuni di quei comportamenti: «utilizzo di cellulare da parte del genitore senza igiene, prodotti in uso senza data apertura e senza tappo, porta aperta, ingresso medico che esegue Eeg senza seguire i percorsi, genitori non aderiscono ai percorsi, contenitori rifiuti distanti dall’Unità di vita del paziente».

Rossella Avella

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