Fino all'8 febbraio Roma ospiterà l'incontro tra le ventidue rappresentanti della rete anti-tratta “Talitha Kum”. Ne fanno parte 22 istituti di religiose cattoliche attiva in 70 Paesi del mondo nella lotta contro la schiavitù moderna.
Quest'anno si tiene a Roma fino all'8 febbraio, Giornata internazionale di preghiera e riflessione contro la tratta di esseri umani, il primo corso di formazione indirizzato a “sostenere e accompagnare le vittime”. L'obiettivo è quello di preparare operatori specializzati nell'approccio di fronte ad un problema così delicato e purtroppo diffuso a livello planetario.
Cos'è Talitha Kum? E' la Rete Internazionale della Vita Consacrata contro la tratta di persone. Mette in comunicazione e facilità la collaborazione di religiosi di oltre 70 Paesi attivi nel contrasto contro la schiavitù moderna. A volerla fu l’Unione Internazionale delle Superiore Generali insieme all’Unione Superiori Generali nel 2009 per dare un coordinamento alle iniziative sparse per il mondo e – in questo modo – rafforzarle. Il nome riprende un'espressione aramaica presente nel Vangelo di Marco che letteralmente significa: “Fanciulla, io ti dico, alzati”.
Nell'ambito delle iniziative contro la tratta, una delegazione dell'Ufficio delle Nazioni Uniti per il controllo della droga e la prevenzione del crimine era presente ieri in Vaticano. A margine dell'Udienza Generale in Aula Paolo VI, Papa Francesco ha incontrato suor Gabriella Bottani, coordinatrice di Talitha Kum. Dall'abbraccio del Santo Padre, la missionaria comboniana ha ricavato l'entusiasmo di rilanciare un forte richiamo contro la tratta di esseri umani: “Non lasciamoci schiacciare dallo sconforto che contro la tratta delle persone non si possa fare nienre; non è vero”.
La Giornata internazionale di preghiera e riflessione contro la tratta di esseri umani è stata istituita da Papa Francesco nel 2015 e ricade nel giorno della memoria liturgica di santa Giuseppina Bakhita, l'8 febbraio. Fu San Giovanni Paolo II a canonizzare nel 2000 “madre Moretta” – come la chiamava la comunità cattolica di Schio una volta divenuta suora canossiana – che visse sulla sua pelle all'età di 9 anni la tragica esperienza della schiavitù.
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