Nuovo episodio preoccupante per la libertà religiosa in Australia. Dopo la proposta di legge che renderebbe obbligatoria ai sacerdoti la violazione del segreto confessionale, dall'altra parte dell'Oceano arriva l'ennesima notizia di cittadini perseguiti a livello legale per aver espresso la loro opinione in virtù della fede professata.
Le vittime, in questo caso, sono due attivisti pro-life condannati al pagamento di una multa di migliaia di dollari per aver protestato fuori ad una clinica abortista. Negli Stati del Victoria e della Tasmania – facenti parte del Commonwealth of Australia – è in vigore una legge che prevede una “buffer zone”, ovvero una zona cuscinetto a ridosso di queste strutture e che proibisce manifestazioni nell'arco di 150 metri. Una misura legislativa che, agli occhi delle organizzazioni pro-life, violerebbe il principio della libertà di espressione. Una simile soluzione era stata invocata anche nel Regno Unito con una proposta di legge presentata da una parlamentare dei Labour respinta, però, dal ministro degli Interni inglese, Sajid Javid.
Uno dei due attivisti multati in Australia a causa di questo provvedimento, Kathleen Clubb, ha raccontato di aver subito la sanzione soltanto per essersi avvicinato a parlare con una delle madri dirette in clinica. In un'intervista al “The Guardian”, il manifestante ha spiegato: “Il divieto si applica indipendentemente dal fatto che sia causato o meno disagio alle donne”, ribadendo poi che “la questione sollevata dal nostro appello è se un divieto di questo tipo sia compatibile con una costituzione che protegge la libertà di espressione. Questa corte dovrebbe rispondere alla domanda.” I due attivisti multati, infatti, hanno deciso di rivolgersi direttamente all'Alta Corte di Canberra per vedere tutelati i loro diritti di cittadini australiani. Il loro avvocato ha spiegato come il provvedimento vada a colpire esclusivamente le manifestazioni pacifiche perchè esistono già leggi contro le molestie e le intimidazioni negli Stati del Victoria e della Tasmania. A farne le spese, dunque, sembrano essere soltanto le veglie di preghiera fuori alle cliniche abortiste e con esse anche la libertà di espressione.
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