Si è concluso da poche ore con una condanna a venticinque anni di carcere il processo iniziato alcuni mesi fa nei confronti di Paul Rusesabagina, Il ruandese che, durante il genocidio dell’etnia tutsi nel 1994, ha salvato 1268 persone nascondendole all’interno del lussuoso hotel che dirigeva nella capitale del Ruanda, Kigali.
Egli è stato arrestato nel corso del 2020 con l’accusa di terrorismo portata avanti dal governo presieduto dal presidente Paul Kagame. In particolare, nei suoi confronti, è stato emanato un mandato di arresto da parte delle autorità ruandesi ma, il Belgio, luogo di residenza di Rusesabagina, ha negato di aver mai dato il consenso alla sua estradizione.
La condanna di Paul Rusesabagina ha avuto origine dalle critiche mosse da egli nei confronti del governo del presidente Paul Kagame, accusato di commettere un nuovo genocidio, simile a quello del 1994, con la differenza che questa volta lo stesso perpetrato dall’etnia Tutsi contro quella Hutu. Dopo il suo arresto, precisamente 10 febbraio scorso, il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione, in cui chiedeva che venissero a lui garantiti i diritti di un cittadino europeo ed in cui venivano criticati i metodi investigativi utilizzati dalle autorità ruandesi. In risposta ciò il governo ruandese ha emanato una risoluzione in cui condanna l’unione europea per influenza impropria in un processo.
Rispetto al genocidio del 1994 in Ruanda si stima che hanno perso la vita tra le 800 mila e un milione di persone, maggioranza di etnia tutsi ma, con il passare del tempo, le violenze hanno coinvolto anche l’etnia Hutu.
Negli anni Rusesabagina, per la sua azione umanitaria, ha ricevuto diversi riconoscimenti, tra cui vi sono la medaglia presidenziale della libertà conferita dal presidente degli Stati Uniti nel 2005
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