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Lorenzo, ucciso dall'anoressia. I genitori: “Lasciati soli”

Vogliamo scuotere la coscienza delle istituzioni perché è inaccettabile che in un Paese come l'Italia non ci siano strutture in grado di accogliere e curare ragazzi come nostro figlio”. Sono parole cariche di dolore ma anche di amarezza quelle pronunciate al Corriere della Sera dai genitori di Lorenzo, un giovane di 20 anni di Moncalieri che, alle sue aspirazioni, ai suoi sogni e alle sue speranze, ha dovuto anteporre l'estenuante battaglia estenuante contro l'anoressia. Sei lunghissimi anni, che lo hanno strappato alla sua adolescenza, devastandone il corpo e, a poco a poco, anche lo spirito. Il mostro dell'anoressia lo ha combattuto Lorenzo, senza riuscire a superare quello scoglio che, con la forza dei suoi giovani anni, ha tentato di scalare. Un dramma iniziato a 14 anni, all'inizio delle scuole superiori, sperimentando probabilmente le difficoltà del passaggio da un'età all'altra: “Era esigente – ha raccontato sua mamma -, doveva cercare di fare tutto al meglio, dal calcio alla scuola. Studiava tanto perché voleva essere bravo ma forse nessuno glielo ha mai detto”.

La lotta

Lorenzo, circa un mese fa, aveva stilato un elenco di “cose da fare”, interpretato dalla sua famiglia come un segno positivo, un barlume di speranza che diceva loro che quel ragazzo, logorato da anni di durissima battaglia, aveva voglia di combattere ancora: “Ci aveva stupito quel gesto, lo avevamo interpretato come un  segno di speranza: in quell'elenco vedevamo la sua voglia di combattere ancora. Neanche un mese dopo è morto… Di anoressia si può morire e i genitori dei ragazzi che ne soffrono lo devono sapere. Bisogna parlarne e affrontare il fenomeno. A partire dalla legge: non si può dimettere una persona nelle condizioni di nostro figlio solo perché maggiorenne. È una vergogna nazionale”. E affrontano un punto cruciale i genitori di Lorenzo, consapevoli di aver condotto la battaglia assieme al loro figlio in un contesto che non ha fornito loro l'aiuto necessario: “Non ci sono abbastanza strutture pubbliche, non c'è un sistema che sappia dirti a chi rivolgerti. È necessario mettere mano alla normativa, perché c'è un vuoto… Noi abbiamo fatto di tutto, ci siamo detti che a costo di mangiare pane e cipolla avremmo provato ogni strada, abbiamo scelto esperti e strutture private, pagando di tasca nostra. Ma quando i figli sono maggiorenni, i genitori non possono fare nulla“. Negli ospedali “si limitano a parcheggiarti in un reparto e a somministrare flebo per integrare il potassio. Poi ti rimandano a casa, fino al prossimo ricovero”.

L'ultimo saluto

Lorenzo si era diplomato, aveva iniziato l'università ma qualcosa continuava a non andare: “Forse non riusciva ad accettare l'idea di ritrovarsi a essere un numero. Lui voleva aiutare gli altri, era quello il suo futuro e lo faceva nel suo piccolo”. Tanti i ricoveri in ospedale: “Ma quando vedevano che il livello di potassio rientrava lui firmava e tornava a casa. Ci aveva vietato di parlare con i medici”. Ai genitori ha lasciato un'ultima frase: “Non preoccupatevi. Sono magro ma in forze“. L'ultima, il 3 febbraio, pronunciata prima di andare a dormire senza mai più svegliarsi: “Abbiamo supplicato che gli facessero il Tso. Ci aveva confidato che era arrivato a vomitare anche 20 volte al giorno, ma era come se non fosse lui a farlo. Era uno spettatore, era la malattia ad agire per lui. E ci rassicurava che stava bene, che insieme ce l'avremmo fatta, senza ricovero”.

DM

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