Roberto Benigni, Ridley Scott, Marco Risi, Pupi Avati, Antoine Fuqua, Anthony Minghella. Basterebbe questo ristretto gruppo di registi (con qualche Oscar incluso) a dare il peso della figura cinematografica di Ivano Marescotti. Attore versatile, che con tutti loro ha lavorato in modo proficuo. Chiamato da Hollywood per Il talento di Mr. Ripley e King Arthur, ma anche volto familiare di alcune delle più fortunate commedie del cinema italiano, accanto a Checco Zalone e ad Aldo, Giovanni e Giacomo. Il cinema è in lutto per la scomparsa del settantasettenne attore romagnolo, scomparso a seguito del peggioramento delle sue condizioni isiache, dovuto a una malattia che lo affliggeva da tempo. Di recente, aea messo da parte la settima arte per ritornare alle origini, prendendo direttamente le redini del Teatro Accademia Marescotti, scuola teatrale di Ravenna.
Una carriera iniziata in teatro, da giovanissimo, e proseguita sia nell’ambito attoriale che di regia, accanto a nomi come Giampiero Solari, Leo De Bernardinis e Giorgio Albertazzi. C’è tanto Shakespeare nella sua carriera sul palcoscenico, tra La Tempesta e Amleto, ma anche un Don Camillo e Peppone, con la regia di Lorenzo Salveti. Al cinema si affaccia a metà anni Ottanta, raggiungendo un primo successo con la partecipazione a Johnny Stecchino, accanto a Roberto Benigni. E anche la celluloide riserverà grandi soddisfazione, incluse sei candidature ai Nastri d’Argento, con una vittoria nel 2004 per il corto Assicurazione sulla vita.
Dal capitano della polizia newyorkese in La leggenda di Al, John e Jack, al burbero suocero leghista in Cado dalle nubi, sulla spesso interpretata figura di antagonista comico aveva imparato a scherzarci. Il suo nome, però, è comparso in film d’autore, accanto ad alcuni dei più importanti attori del panorama cinematografico. È il vescovo Germanius accanto a Clive Owen e Stellan Skarsgard, poi Carlo Degracias in Hannibal, con Anthony Hopkins, Julianne Moore e Giancarlo Giannini. È vicino a Matt Damon, il Tom Ripley della nota pellicola di Minghella. Apici di una carriera iniziata oltre i trenta ma in grado di ripagare la lunga attesa. ino al ritiro “seguendo l’esempio di Jack Nicholson”, a 73 anni. Con un apporto d’autore al cinema nostrano.
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