Venerdì scorso, 24 settembre, durante uno sgombero di migranti nell’ex plaza Brasil, a Iquique, nel nord del Cile, non lontano dal confine con il Perù, si è assistito a percosse di minorenni e a donne incinta, senza fornire la possibilità di ospitare coloro che sono stati sgomberati e aggrediti.
Altri gravi fatti sono accaduti sabato, con una marcia durante la quale cui un gruppo ha insultato dei migranti venezuelani, preso e bruciato vestiti, effetti personali e tende appartenenti agli stessi migranti.
Situazioni che hanno provocato una decisa reazione a livello ecclesiale. “Invitiamo a rispettare l’integrità e la dignità di tutte le persone e, soprattutto, a salvaguardare i diritti umani dei bambini e degli adolescenti, per i quali sosteniamo con forza l’appello di protezione presentato dal Difensore dell’infanzia”, si legge in una nota della sezione cilena della rete continentale ecclesiale Clamor. Atti come quelli di sabato, inoltre, “minano la costruzione di una società umana, accogliente e inclusiva, e continuano a portare il diritto a una vita dignitosa e sicura per tutti”.
Prosegue la nota della rete Clamor: “Ribadiamo la nostra condanna verso le espulsioni dei migranti, che hanno contribuito a generare un clima di odio, criminalizzazione e stigmatizzazione. Tutto ciò finisce per esacerbare la crisi di gestione migratoria che oggi affrontiamo”.
Secondo l’organizzazione, una soluzione reale e seria per la situazione che esiste nel nord del Cile deve includere da parte del Governo nazionale, almeno: l’accesso a strutture di accoglienza con adeguate condizioni igienico-sanitarie, alimentari; l’avvio di processi di regolarizzazione; l’ascolto delle comunità locali, attraverso la convocazione di tavoli di lavoro; una gestione più ordinata, in particolare dei rifugiati; il coordinamento con la Comunità internazionale e gli altri Paesi dell’area.
Da Iquique, l’amministratore diocesano, padre Guillermo Fajardo Rojas – riportato dal Sir – ha rivolto un appello allo Stato del Cile, “che deve assumersi la responsabilità di questa situazione migratoria”, per cercare insieme “vie di pace, di incontro, di dialogo”, insistendo affinché “le persone possano capirsi attraverso il dialogo”, perché secondo padre Fajardo, “ogni gesto di violenza e soprattutto di distruzione ci fa ammalare”.
Prosegue l’amministratore diocesano: “La Chiesa non può chiudere il cuore, come cristiani, come credenti, non possiamo tradire il Vangelo di Cristo. È vero che è impegnativo, è vero che è complesso, è vero che la situazione ci supera, ma l’amore può tutto”.
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