SUPER RICCHI ALLA FACCIA DEI POVERI

Pirati d’industria, tycoons, ex yuppie ed ereditieri, sempre con il Wall Strett Journal sotto braccio. Per loro la crisi è solo una brezza fastidiosa: si rimettono a posto i capelli smossi e giù a contare di nuovo la grana, mentre fuori la gente normale si ammazza per un posto di lavoro. Non sono cattivi, be’ forse giusto un po’, ma squali sì, perché nelle stanze dove si premono i bottoni della finanza mondiale devi saper mangiare per non essere divorato. Insomma se pensate che il big crunch abbia fatto solo morti e feriti dovete ricredervi: c’è chi nella versione 2.0 della grande depressione ha continuato a fare business, con guadagni sorprendenti. L’ultima classifica di Forbes, la rivista che stila il ranking degli uomini più ricchi al mondo, è lì a testimoniarlo: nel 2014 i paperoni sono aumentati di 290 unità.

C’è poi chi lo scorso anno ha fatturato meno perdendo un posto nel gotha dei ricconi: sono in 138 e fra loro figurano il presidente ucraino Petro Poroshenko e lo stilista americano Micheal Kros. Come di consueto Forbes ha fatto le pulci a decine di patrimoni personali per compilare la sua graduatoria, che nel 2015 comprende 1826 individui per un totale di 7 mila miliardi di dollari (si fa persino fatica a pronunciarla questa cifra). In cima c’è sempre lui: sua maestà Bill Gates. Gli averi del proprietario della Microsoft ammontano a 79,2 miliardi di dollari, che gli consentono di staccare il Rockerduck della situazione: Carlos Slim Helu, patron messicano di Telecom (77,1 miliardi). Sul terzo gradino del podio Warren Buffet, amministratore delegato della Berkshire Hataway, colosso dell’industria mondiale, attivo in diversi campi, dalle assicurazioni all’abbigliamento, dall’alimentazione ai beni di lusso, sino alla logistica, ai media, ai materiali edili e industriali. Una gigantesca macchina da soldi made in Usa ma con tentacoli che si allungano in ogni angolo del pianeta.

E’ l’America a dominare la classifica, con ben 7 finanzieri nella top ten di Forbes (fra questi anche Larry Ellison, cofondatore e Ceo di Oracle). Oltre ad Helu a provenire da Paesi diversi sono due europei: lo spagnolo Armancio Ortega, proprietario del marchio Zara, quarto con un patrimonio stimato di 64,5 miliardi, e madame Liliane Bettencourt con 40,1 miliardi (decima posizione). Il numero uno della l’Oreal è l’unica donna nella top 10 assieme a Christy Walton (Wal Mart, 41,7 mld). In effetti nel ranking 2015 c’è un netto divario fra uomini e donne che sono solo 197, cioè l’11% del totale. Fra gli italiani primeggia Maria Franca Fissolo, moglie del defunto Michele Ferrero, con 23,4 miliardi di dollari (nel mondo è 32esima) che le consentono di battere persino Jack Ma, inventore di Alibaba, colosso dell’ecommerce cinese.

Cifre da capogiro che accrescono il gap tra ricchi e poveri, mai così vasto come in questo periodo. Basti pensare che 7 persone su 10 vivono in Paesi dove il divario fra benessere e indigenza è molto più ampio di 30 anni fa. Basti pensare che, secondo l’ultimo rapporto di Oxfam, pur essendo solo l’1% della popolazione terrestre, i nuovi paperoni detengono la metà della ricchezza prodotta a livello globale e da soli superano di 65 volte gli averi di tutti i poveri del pianeta, i quali, in base a quanto sostenuto dalla Banca Mondiale, sono circa la metà del genere umano. Miliardi di persone affamate contro poche centinaia che hanno tutto, l’eterna dicotomia fra miseria e plutocrazia. Uno schiaffo alla dignità. La Fao a fine 2014 ha comunicato un lieve miglioramento degli indicatori sulla fame nel mondo. E tuttavia sono circa 805 milioni le persone che non riescono a nutrirsi adeguatamente nelle nazioni del Terzo Mondo e in quelle in via di sviluppo. In India, ad esempio, nonostante il boom economico, tre quarti dei cittadini nel 2009 viveva con non più di 2.400 calorie al giorno.

A essere funestata da queste piaghe è soprattutto l’infanzia: l’Unicef sostiene che su 2,2 miliardi di bambini almeno 1 miliardo viva al di sotto della soglia di povertà mentre ogni giorno 22mila minori muoiono di stenti. Ma queste calamità non colpiscono solo le periferie del mondo; basti pensare che in Italia, secondo l’Istat, nel 2013 il 12,6% delle famiglie (3 milioni e 230 mila individui) si trovava in uno stato povertà relativa, mentre il 7,9% (poco più di 2 milioni) era in una condizione di indigenza assoluta. Tutti questi dati “ci mostrano una realtà che non possiamo evitare di vedere: l’estrema disuguaglianza economica oggi non è uno stimolo alla crescita, ma un ostacolo al benessere dei più – ha detto tempo fa Winnie Byanyima, direttore esecutivo di Oxfam-. Finché i governi del mondo non agiranno per contrastarla, la spirale della disuguaglianza continuerà a crescere, con effetti corrosivi sulle istituzioni democratiche, sulle pari opportunità e sulla stabilità globale”. Con buona pace di chi ancora celebra la ricchezza di pochi e chiude gli occhi di fronte al dolore di troppi.