PER LE DONNE DIMENTICATE

Tra una mimosa e un regalo si può dimenticare il senso della Festa internazionale della Donna. Non si tratta solo di un omaggio alla bellezza, all’amore provato nei confronti di mogli e fidanzate ma di un momento di riflessione sulla condizione femminile nel mondo. La sua origine affonda nello sfruttamento lavorativo di inizio ‘900, storie di povertà, soprusi e morte. Problemi che pensavamo di aver superato ma che, invece, sono più attuali che mai. In alcuni angoli della terra il gentil sesso continua a vivere tra mille difficoltà, ostaggio di prevaricazioni e vessazioni. Basti pensare al cancro della schiavitù, che nemmeno l’Onu riesce a sradicare. A tal proposito l’ultimo rapporto della Commissione europea traccia un quadro desolante: su 30.146 vittime della tratta registrate dall’Ue tra il 2010 e il 2012 le donne erano l’80%. Di queste il 95% è stato destinato allo sfruttamento sessuale e il 71% al lavoro manuale in condizioni troppo spesso disumane. Un problema che si collega a quello dell’immigrazione; il numero di sbarchi in Italia nel 2014 è drasticamente aumentato rispetto al 2013 e le ragazze arrivate sul nostro suolo, secondo l’Organizzazione internazionale per le Migrazioni, ha superato le 17 mila unità (dato di novembre scorso), vale a dire almeno 12 mila in più in confronto allo stesso periodo dell’anno precedente. Preoccupante è stato l’incremento di giovani nigeriane (aumentate del 300%) la maggior parte delle quali destinate al mercato della prostituzione. Corpi venduti come oggetti senza alcun rispetto per la loro dignità e usati in nome del dio denaro, a beneficio dei racket più abietti.

Ma il dramma delle donne dimenticate si consuma anche in altri modi, basti pensare alla condizione femminile in quei Paesi dove l’unica legge esistente è quella del fondamentalismo. Parliamo dell’umiliazione vissuta da troppe persone costrette dalla distorsione del dettato coranico ad essere soggiogate ai mariti. Nelle zone conquistate dall’Isis vige il motto “le donne siano schiave dei loro sposi”, una prospettiva agghiacciante che non si consuma solo con burqa e chador ma anche attraverso l’assoggettamento e il controllo. E ogni sia pur minima trasgressione rischia di sfociare in altrettante sentenze di morte per lapidazione o impiccagione, talvolta eseguite da padri e coniugi nel folle conato di redimere il proprio onore, di fatto perdendolo.

E cosa dire della pratica delle mutilazioni genitali di cui poche settimane fa si è celebrata la giornata mondiale per eliminarle? Nel vedere tante giovani, nel nostro mondo, libere di vivere il rapporto col proprio corpo nemmeno immaginiamo cosa significhi subire un’infibulazione o un’escissione del clitoride quando si è bambine. Eppure questa realtà esiste e in Africa coinvolge – secondo l’Unicef – almeno 91,5 milioni di ragazze di età superiore ai 9 anni, cui se ne aggiungono 3 milioni ogni anno. Una piaga diffusa e documentata anche in Yemen, India, Indonesia, Iraq, Malesia, Emirati Arabi Uniti e Israele. Ma casi sono stati segnalati pure in Oman, Sri Lanka e persino, sostiene lo studio, in Colombia e Perù, innalzando la quota delle vittime, che si aggira tra i 100 e 130 milioni di individui in tutto il globo. Tutto per soddisfare la bieca idea di una presunta superiorità del maschio, provenga essa da consuetudini, norme o primitivi principi religiosi.

Sbaglierebbe, tuttavia, chi limitasse al solo Terzo Mondo la criticità della condizione femminile. Troppo facile bollarla come “retaggio di una cultura arcaica”. Anche da noi, in Occidente, tante donne vivono nelle periferie della civiltà. Trasversale alle due facce del globo è la tragedia della violenza domestica e dei femminicidi. Il 13% dei delitti commessi a livello internazionale avviene tra le mura domestiche e in quasi la metà dei casi è l’uomo che uccide la donna. I Paesi europei ad alto reddito in questo senso hanno una posizione tutt’altro che onorevole, collocandosi al secondo posto (dopo il Sud est asiatico) tra le regioni più pericolose per il gentil sesso, seguiti dalle Americhe e dall’Africa. In Italia è stata necessaria l’approvazione di una legge per bloccare un trend preoccupante che, nel 2013, ha visto 122 maschi uccidere le proprie partner. La maglia nera, a livello territoriale, è spettata a Lazio e Campania (20 assassinii), che hanno preceduto Lombardia (19) e Puglia (15). Oltre alle morti ci sono poi soprusi e violenze, che si manifestano non solo a livello fisico ma anche psicologico: minacce, segregazioni, divieti, intimidazioni, stalking, coercizioni e così via.

Ci sono poi le vittime di una società frenetica e a suo modo spietata che dimentica o fa finta di non vedere le tragedie dell’anima che ogni giorno si manifestano. Pensiamo alle anziane abbandonate negli ospizi, sacrificate sull’altare di una efferata cultura dello scarto? “I vecchi sono la saggezza del nostro popolo” ha detto giorni fa papa Francesco sollevando un problema atroce. Per troppi la terza età sembra essere diventata un problema e tante mamme e nonne vengono relegate ai margini della loro famiglia, interessata solo a non avere intralci nel condurre la propria vita. Anche quando a chiedere aiuto e attenzione magari è proprio colei che ti ha messo al mondo, cresciuto, educato, nutrito e amato. Gesti cui si risponde con l’abbandono in strutture senz’anima, in cui magari lavorano persone crudeli che non si fanno remore nel picchiare, legare al letto, torturare senza motivo.

Infine c’è il male interiore che viene dalla mente. Quello che vivono le tante ragazze affette da disturbi alimentari come l’anoressia. A volte sono prigioniere del culto della bellezza e della vanità, in altri casi vittime di rapporti personali complessi. Così si lasciano andare, abbandonano il proprio corpo, lo costringono ai minimi della sopravvivenza. Si tratta di una malattia che colpisce tra le 8 e le 10 giovani su 100 tra i 12 e i 25 anni dei Paesi industrializzati. In Italia in 3 milioni sono affetti da questa patologia distruttiva, il 90% sono di sesso femminile. Anche per loro, come per tutte le altre donne sofferenti, oggi un mazzo di fiori non basta.