Gli disse: “Seguimi”. Ed egli si alzò e lo seguì

«Ed egli si alzò» «Et surgens»

Lunedì 21 settembre – Festa di San Matteo Apostolo ed Evangelista – Mt 9, 9-13

In quel tempo, mentre andava via, Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici (Os 6,6). Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori».

Il Commento di Massimiliano Zupi

Quando il vangelo, la Parola di Gesù, raggiunge Matteo, egli si alza: nell’originale greco è anastás, surgens in latino, uno dei verbi usati nel Nuovo Testamento per dire la resurrezione. Questa è la premessa fondamentale per chi crede nel vangelo: altrimenti vana sarebbe la nostra fede, anzi saremmo da commiserare più di tutti gli altri uomini (1 Cor 15,12-19). Ora, la resurrezione è senz’altro un dono riservato per la fine dei tempi: per la vita del mondo che verrà.

Tuttavia, la credibilità del vangelo si gioca qui ed ora: la promessa è affidabile, se se ne può fare esperienza già adesso, come pegno di quel che verrà dato. In effetti, Matteo appunto si alza subito. Egli era seduto al banco delle imposte, a contare i soldi, immerso nelle tenebre, secondo la bellissima tela del Caravaggio. È la situazione di morte alla quale rischiamo di rimanere incatenati per tutta l’esistenza: ripiegati su di noi, a contare e trattenere quelle proprietà che in realtà non sono affatto nostre, quei possessi che ci saranno tolti. La Parola di Gesù è come un raggio di luce che ci illumina: che ci fa finalmente vedere la verità di quel che viviamo, ci fa riconoscere ciò che è natura morta e seguire Colui che è Vivente. Qual è il potere di questa Parola? Come fa essa a rompere le catene, a squarciare le tenebre?

I farisei sopraggiungono a vedere lo spettacolo e restano meravigliati: il Maestro mangia con i peccatori! Proprio questo stupisce: quegli uomini siedono al banchetto, prefigurazione del regno, quando ancora sono peccatori! Ma questa è appunto la buona notizia: che siamo accolti così come siamo, amati nella nostra bruttezza, baciati nella nostra lebbra, benvoluti nella nostra miseria. Il rischio infatti, come avverte san Paolo, è sempre di trasformare il vangelo in legge (Gal 5,1- 12): allora essere cristiani diventa osservare determinate norme di comportamento, seguire una certa morale.

Ma non da questo ci riconosceranno: dall’essere irreprensibili quanto al rispetto della Legge (Fil 3,6). Soltanto da questo ci riconosceranno invece: dal fatto che ci amiamo gli uni gli altri, perché amati (Gv 13,35). I farisei fanno sentire i peccatori in colpa: li bloccano e paralizzano nel loro peccato, facendoli ripiegare ancora più su di sé; essi stessi, poi, si induriscono sempre di più, forti del proprio senso di superiorità, della propria giustizia. Gesù invece fa sentire i peccatori amati, accolti incondizionatamente: così li libera, li guarisce, li fa risorgere. L’annuncio del vangelo è questo: far sentire amati e così insegnare ad amare. Si impara ad amare, infatti, solo se si è immersi nell’amore.