“Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono”

«Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono»
«Cum exaltaverĭtis Filĭum homĭnis, tunc cognoscētis quia ego sum»

Quinta Settimana di Quaresima – Martedì – Gv 8,21-30

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove vado io, voi non potete venire». Dicevano allora i Giudei: «Vuole forse uccidersi, dal momento che dice: “Dove vado io, voi non potete venire”?». E diceva loro: «Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati». Gli dissero allora: «Tu, chi sei?». Gesù disse loro: «Proprio ciò che io vi dico. Molte cose ho da dire di voi, e da giudicare; ma colui che mi ha mandato è veritiero, e le cose che ho udito da lui, le dico al mondo». Non capirono che egli parlava loro del Padre. Disse allora Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite».

A queste sue parole, molti credettero in lui.

Il commento di Massimiliano Zupi

«Morirete nei vostri peccati» − così Gesù sgrida i Giudei – perché «non credete che Io Sono». Morire è non essere più; il peccato è esattamente questo: sperimentare da vivi la morte, sentire di dissolversi, di essere ingoiati nel nulla. Paradossalmente, più cerchiamo, secondo la menzogna suggeritaci da satana (Gn 3,5), di salvarci affermando noi stessi, più ci perdiamo (Gv 12,25). Il fatto è che in noi stessi Non-Siamo: chi può aggiungere un’ora sola alla sua vita (Mt 6,27)? Come non ci siamo dati la vita da noi stessi, così non possiamo conservarla. Gesù invece è: ha la vita in sé stesso, ha consistenza, al punto da avere il potere di dare la sua vita e di riprenderla quando vuole (Gv 10,18). Perché è Dio e non uomo: viene dall’alto (Gv 3,31) e non da questo mondo.

Ora, però, che significa essere Dio? Qui si gioca la conversione: il passaggio dalla morte alla vita, dal peccato alla grazia. Immaginiamo Dio come colui che, a differenza nostra, ha il dominio sulla morte. E in effetti è così; ma il motivo di questo suo potere è diverso da quello che pensiamo: egli possiede la sua vita solo in quanto la riceve e la dona. Anzitutto, la riceve: Gesù, certo, può dire di sé stesso Io-Sono (il nome-proprio divino rivelato da Dio stesso a Mosè: Es 3,14); ma egli è, in quanto non fa nulla da sé stesso, bensì agisce secondo quanto il Padre gli ha insegnato. Egli è, ha la vita, ha consistenza in sé stesso, sì, ma proprio in quanto il suo essere coincide con il suo essere mandato dal Padre, con il suo essere con il Padre e con il suo fare le cose gradite al Padre. In secondo luogo, possiede la sua vita in quanto la dona. Per questo, il suo essere Io-Sono diventerà visibile quando sarà innalzato sulla croce: perché è donando sé stesso che si possiede; quando si perde, trova sé stesso; quando muore, vive. Avere la vita non è un possesso geloso; è piuttosto rinnegare sé stessi, svuotare sé stessi per amore (Fil 2,6-8), così da essere con l’amato, nell’amato: questa è la rivelazione di Dio, una meraviglia ai nostri occhi (Sal 118/117,23).