“Non chiunque mi dice: ‘Signore, Signore’, entrerà nel regno dei cieli”

«Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli»
«Non omnis, qui dicit mihi: “Domĭne Domĭne”, intrābit in regnum caelōrum, sed qui facit voluntātem Patris mei, qui in caelis est»

XII Settimana del Tempo Ordinario – Mt 7,21-29

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. In quel giorno molti mi diranno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?”. Ma allora io dichiarerò loro: “Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!”. Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande». Quando Gesù ebbe terminato questi discorsi, le folle erano stupite del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come i loro scribi.

Il commento di Massimiliano Zupi

Si può essere uomini di preghiera, invocando il nome del Signore; si può essere profeti, annunciando la sua Parola, o esorcisti, scacciando demòni; si possono compiere segni e prodigi: e tuttavia non essere ammessi nel regno dei cieli, ovvero non essere figli di Dio, non partecipare della sua vita. Per essere santi, per essere suoi, per riflettere la sua luce, solo una cosa è necessaria: fare la sua volontà (Mt 26,39.42). Il regno di Dio non è una questione di capacità, abilità, forza, talenti, ma solo di amore, passione (Fil 3,4-7.12). Ed amare appassionatamente non significa altro che volere quel che vuole l’amato; essere suoi strumenti (Lc 1,38): non desiderare altro. Per questo, scrive san Paolo, quando siamo deboli, è allora che siamo forti (2 Cor 12,10): deboli dei nostri bisogni, del nostro volere. La libertà alla quale siamo chiamati, la libertà che dà vita, è la libertà dalla tirannia del proprio io, per servire senza riserve né impedimenti Dio, nostra roccia. Aver vinto su sé stessi ed essere totalmente rivolti a lui è perfetta letizia (Gc 1,2-3).