Verranno giorni nei quali non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta

«Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine» «Cum autem audierĭtis proelĭa et seditiōnes, nolīte terrēri; oportet enim primum haec fiĕri, sed non statim finis»

Martedì 24 novembre – XXXIV settimana del tempo ordinario – Lc 21, 5 -11

In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». 8Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo».

Il commento di Massimiliano Zupi

Gesù profetizza la distruzione del tempio di Gerusalemme: colosso dai piedi di argilla (Dn 2,32-33), sarebbe stato raso al suolo nell’anno 70 e mai più ricostruito. Incalzato dai discepoli sui tempi e sui segni della fine che dobbiamo aspettarci, Gesù conferma che ci attendono guerre, rivolgimenti politici e catastrofi naturali: ma tutto ciò non è la fine; al contrario, è l’andamento consueto della storia, umana e naturale, di questo mondo, prima di Cristo e dopo Cristo. Le calamità naturali attengono alla natura contingente del mondo: malattie e morte non sono, propriamente, il male, quanto piuttosto l’espressione del carattere finito e transeunte dell’esistenza terrena. Le guerre invece sono il frutto del male, del peccato degli uomini, che si ribellano invano al proprio destino di morte e precarietà naturale cercando di dominare su tutto e su tutti.

Ma tutto questo non è la fine, né tanto meno il fine. Il fine della storia, individuale e collettiva, non è la morte, ma la vita, non la guerra, ma la pace: questa è la buona novella. Le parole di Gesù servono a liberarci definitivamente da un inganno sempre ricorrente: Dio non vuole il male e certo non lo compie. Malattie ed incidenti, guerre ed ingiustizie non sono in alcun modo un castigo di Dio: sono conseguenza della contingenza della natura e del peccato degli uomini.

Dio non punisce, ma salva, non dà la morte, ma la vita (Sap 1,13-14). Il discorso escatologico di Gesù, come tutta la sua vita, non è l’annuncio dell’ira divina, bensì della sua misericordia: Dio non è giudice impietoso, ma Padre misericordioso (Sal 103/102,8-13). Il male di cui facciamo esperienza nella nostra storia non ha origine da Dio, ma da noi; tuttavia Dio liberamente lo prende su di sé e ne fa l’occasione del massimo bene: la croce di Gesù, l’offerta di sé come pane per tutti, è la chiave di lettura di ogni discorso escatologico del Vangelo. Così anche qui: la morte di Gesù anticiperà la distruzione del tempio di Gerusalemme, riassumerà su di sé ogni guerra e calamità futura. Ma assumendo tutto ciò, ne farà la manifestazione suprema d’amore: nel dono di sé, la risurrezione diventa il senso e il verso-dove, il fine e la fine di tutto il male del mondo, fin dal tempo presente.