“Dio ha mandato il figlio perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”

Vangelo

«Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo»
«Et nemo ascendit in caelum, nisi qui discendit de caelo, Filĭus homĭnis»

Festa della Esaltazione della Croce – Gv 3,13-17

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così
bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».

Commento di Massimiliano Zupi

Salire al cielo è il desiderio dell’uomo fin dai primordi: dalla costruzione della torre di Babele (Gn 11,1-9); ancora prima, dalla seduzione del serpente, che rese desiderabile diventare come Dio (Gn 3,4-6). L’uomo è un impasto di fango, di terra ed acqua (Gn 2,6-7), i due elementi del basso, carichi di morte; eppure respira l’aria ed i suoi occhi riflettono la luce del sole: la sua stessa posizione eretta testimonia con il corpo che egli aspira al cielo, vive dell’aria e del fuoco, i due elementi celesti, pieni di vita. I piedi però rimangono ben piantati a terra e se egli cerca di oltrepassare questo limite, finisce con il ritrovarsi rovinosamente caduto al suolo.

Il cielo, per il quale pure è fatto, sembra proprio inarrivabile: come Sisifo, ad ogni passo fatto verso l’alto, l’uomo torna a scivolare in basso. Ma ecco che c’è uno che è riuscito a salire al cielo: è Dio stesso, che abita nei cieli. Egli però dimostra la sua natura non guardandoci dall’alto, non cavalcando le nubi, né mostrandosi nella sua onnipotenza, trasformando i sassi in pani o gettandosi dal pinnacolo del Tempio (Mt 4,3-7); no, ma al contrario scendendo sulla terra, incarnandosi in un neonato indifeso: facendosi Figlio dell’uomo. È paradossale: assumendo la nostra umanità, egli dimostra la sua divinità; inchiodato sulla croce, rivela la sua natura celeste (Fil 2,6-11). Perché? Perché ci mostra la via: la via per il cielo è inabitare, aderire, mettere radici nella terra; è accogliere l’umanità propria ed altrui: l’umanità fatta di limiti, piccolezze, meschinità.

È la regola dei contrari. L’uomo desidera l’onnipotenza: la ottiene accettandosi debole. Aspira alla grandezza e alla vetta: le raggiunge facendosi piccolo ed umile. Vuole l’immortalità: la consegue passando attraverso la morte. È la legge dell’amore: inginocchiarsi per servire l’amato (Gv 13,4-5), morire per dargli la vita (Gv 10.11.15), benedire e perdonare e mai condannare e maledire, essere innalzati sulla croce e così manifestare la propria gloria. Il Figlio può amare così perché è amato dal Padre: ed è sceso sulla terra perché anche l’uomo, finalmente amato, possa amare a sua volta.