Chiunque avrà lasciato … per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna

«Chiunque avrà lasciato … per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna» «Et omnis, qui relīquit … propter nomen meum, centŭplum accipĭet et vitam aeternam possidēbit»

Festa di San Benedetto Abate, Patrono d’Europa – Mt 19, 27-29

In quel tempo, Pietro, disse a Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna».

Il commento di Massimiliano Zupi

Il Vangelo di oggi è la conclusione dell’episodio che inizia con il tale che chiede a Gesù cosa debba fare «per avere la vita eterna» (Mt 19,16). La risposta è qui: per avere occorre lasciare, perché è lasciando che si riceve! È il paradosso del vangelo. Oggi la Chiesa festeggia san Benedetto. Appartenente ad una nobile famiglia romana, ancora giovane, lasciò tutto e si ritirò per tre anni all’interno di uno speco sul monte Taleo, sopra Subiaco: rientrato nel ventre di madre terra, quel lungo tempo di solitudine e silenzio, di povertà e preghiera, fu una seconda gestazione che lo fece rinascere dall’alto, dallo Spirito (Gv 3,3-7), figlio di Dio.

Il problema fondamentale di ogni uomo, in effetti, è avere la vita: rinascere permanentemente. Siamo vivi, ma non possediamo la vita; al contrario, la vita ci sfugge (Mc 5,25): come fare per trattenerla? L’istinto ci suggerisce di aggrapparvici ancora più forte, con la logica di dominio e di potere, di accumulo e di avere, che ne consegue. È l’istinto del peccato, che conduce alla morte e dal quale il vangelo vuole affrancarci: la vita non è da trattenere né da conquistare, bensì da ricevere in eredità; per questo occorre non stringere la presa, ma allentarla, non chiudere il pugno e strappare, ma aprire il palmo ed accogliere (Mc 3,5).

Ciò che vale per la vita, vale per qualunque altro bene: le persone che amiamo non sono da legare e controllare, ma da lasciare libere; l’amore è solo nel rispetto della libertà dell’amato, anche della sua libertà di sbagliare e persino di tradire: proprio allora infatti sarà possibile amare veramente, senza contraccambio (Lc 6,35). Così anche nei confronti dei beni e della salute: accoglierli e rendere grazie quando ci sono; accogliere e rendere grazie anche quando vengano meno (Gb 1,21). Tutto è dono, tutto dono: questo è il cuore dei figli di Dio, la pulsazione della vita di Dio.