Svelato il mistero della materia mancante

Svelato un nuovo mistero dell'universo, quello dell'enigmatica “materia mancante”. Secondo due ricerche indipendenti coordinate da Anna de Graaff, dell'università di Edimburgo, e da Hideki Tanimura, dell'Istituto di Astrofisica Spaziale di Orsay, la materia ordinaria che manca all'appello nei calcoli degli astrofisici potrebbe nascondersi in debolissimi filamenti di gas caldi e diffusi che collegano tra loro le galassie. Nello specifico: si tratterebbe di filamenti di particelle di barioni, un gruppo di particelle subatomiche costituite da tre quark.

Materia mancante

Finora, i cosmologi non erano mai riusciti ad osservare buona parte della materia che compone l'universo. Oltre all'energia oscura e alla materia oscura – un'ipotetica componente di materia che non è direttamente osservabile in quanto non emette radiazione elettromagnetica ma si manifesta unicamente attraverso gli effetti gravitazionali -, che da sole costituiscono più del 95% del cosmo, manca all'appello anche parte (ben il 50%) della materia visibile, quella che compone la realtà che ci circonda: stelle, pianeti, vegetali, animali e esseri umani.

Filamenti di gas

I due nuovi studi – pubblicati sul sito arXiv – ipotizzano che la materia mancante dovrebbe trovarsi in forma di filamenti di gas molto rarefatti che si estendono tra le galassie. Queste strutture finora non erano mai state individuate. Ma, analizzando i dati del satellite Planck, dell'Agenzia Spaziale Europea (Esa), che ha osservato l'universo neonato, e confrontandoli con i dati relativi a oltre 2 milioni di galassie, i ricercatori per la prima volta hanno visto le tracce della materia mancante.

Effetto Sunyaev-Zel'dovich

In particolare – si legge su Ansa – nei dati di Planck gli astrofisici hanno cercato il segnale termico (chiamato in gergo tecnico “effetto Sunyaev-Zel'dovich”) che consente di individuare oggetti celesti molto deboli nella radiazione cosmica di fondo (Cbm) che permea l'universo, residuo “fossile” dell'esplosione del Big Bang.

E proprio grazie al confronto tra le mappe di Plank con quelle delle galassie, i ricercatori hanno trovato quel debolissimo segnale sempre sfuggito all'osservazione, almeno fino ad oggi.

Ipotesi corrette

“Tutti sapevano che dovevano trovarsi lì ma questa è la prima volta che qualcuno, due diversi gruppi, è riuscito a definirli.” ha affermato Ralph Kraft, dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics del Massachusetts, “Questa scoperta dimostra che molte delle nostre idee su come si sono formate le galassie e le varie strutture nell’universo sono essenzialmente corrette”. Un altro passo per svelare il mistero dell'universo che ci circonda.