Milani (Cnesc): “Ecco come rendere il servizio civile davvero universale”

L’intervista di Interris.it a Laura Milani, presidente del Conferenza nazionale degli enti per il servizio civile

La pace oggi non è solo assenza di guerra, è infatti anche cura, cultura e ambiente. E’, in generale, una visione più ampia, universale, che ci deve guidare nelle nostre azioni quotidiane. E questa è anche la visione del servizio civile universale, erede di quel servizio civile obbligatorio nato mezzo secolo fa per gli obiettori di coscienza al servizio militare. Un’esperienza educativa e formativa per tante persone, ragazzi e ragazze e giovani adulti, che imparano, insieme, a dare delle risposte alle sfide che la contemporaneità ci pone davanti. Sfide come la digitalizzazione, la guerra e gli effetti del cambiamento climatico. Giovani volontari e volontarie coinvolti in un processo, comune e collettivo, di costruzione di quella che viene definita “pace positiva”, fatta da azioni che puntano a prevenire le cause di violenze e discriminazioni anche dentro le nostre società, da interventi di cura e tutela dell’ambiente, dalla cooperazione al di fuori dei confini nazionali. Per far sì che questi campi seminati diano maggior frutto, la Conferenza nazionale degli enti del servizio civile (Cnesc) lancia le sue proposte per rendere il servizio civile universale davvero “universale”, sperimentando una modalità di promozione dei valori attraverso le forme dell’arte e della cultura con il primo Festival nazionale del servizio civile, organizzato dal Cnesc. Tenutasi a Roma il 9 e il 10 settembre, la manifestazione è stata inserita nel calendario ufficiale degli eventi dell’Anno europeo dei giovani 2022.

L’intervista

Per conoscere meglio le proposte di implementazione del servizio civile, Interris.it ha intervistato la presidente del Cnesc Laura Milani.

Quest’anno sono i cinquant’anni del servizio civile: come nasce e come si sviluppa?

“Nel 1972 con la legge 772 è stato riconosciuto il diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare e viene quindi istituito il servizio civile, a sua volta obbligatorio. Festeggiare questi cinquant’anni significa evidenziare diversi passaggi importanti. Il primo, il gesto di chi faceva obiezione di coscienza prima di questa legge e ha quindi pagato col carcere la sua scelta. Negli anni Novanta ci sono stati il riconoscimento dell’impegno pacifista e nonviolento della disobbedienza civile e la possibilità di svolgere il servizio civile all’estero, con la legge 230/98. Nel 2001, con la legge 64, il servizio civile non è più obbligatorio ma diventa volontario su base nazionale e viene aperto alle donne. Un passaggio importante perché la scelta è pedagogica e aiuta a costruire il senso di appartenenza e il senso civico di una comunità impegnata nei propri territori. L’ulteriore evoluzione avviene nel 2017, quando viene istituito e disciplinato il servizio civile universale, aperto anche ai giovani e alle giovani di nazionalità straniera”.

Quali sono i numeri e le attività del servizio civile oggi?

“Il 24 agosto sono stati avviati 1.217 operatori volontari, dopo quelli di maggio, giugno e luglio, all’interno del bando per 56.205 operatori volontari pubblicato a dicembre 2021. Il servizio civile è la ricchezza delle situazioni che si inseriscono nella costruzione della pace, che è protezione delle persone, dell’ambiente, e insieme il benessere, la sostenibilità e la coesione sociale. Questa ricchezza si declina in azioni concrete nei diversi settori, da quelli dell’assistenza alle persone con disabilità o ai minori alla promozione diritti delle persone, dalle azioni curative a tutela del patrimonio artistico all’agricoltura sociale”.

Come pensate si possa rendere il servizio civile universale davvero “universale”?

“Occorre uscire dagli spazi ristretti per assumere una visione universale, la stessa legge che istituisce il servizio civile definisce la visione ampia, che raccoglie valori universali. La prima cosa da fare è stabilizzare i fondi per mettere in condizione anche i giovani che si trovano in situazioni più difficili di accedere a questa esperienza, visto che l’obiettivo è quello di 100mila volontari ogni anno. Intendiamo rilanciare il ruolo del servizio civile per la costruzione della sostenibilità ambientale in Italia e all’estero, perché tutte queste esperienze nascono per rispondere alle sfide che la contemporaneità ci presenta senza perdere questa visione universale. Pensiamo inoltre al servizio civile digitale per promuovere l’inclusione, per esempio delle persone più anziane. Un’altra possibilità è quella di valorizzare l’esperienza dei corpi civili di pace e del servizio civile all’estero, perché i civili possono essere protagonisti di una politica estera ‘alternativa’, di cooperazione. I corpi civili di pace intervengono nelle zone di conflitto o post-conflitto, per svolgere azioni non violente come il monitoraggio delle violazioni dei diritti umani o la riconciliazione. E’ stata di recente presentata la terza annualità del periodo di sperimentazione, è importante dare continuità e valorizzare il bello di questo esperienze”.

Quest’anno si è svolta, a Roma, la prima edizione del Festival nazionale del servizio civile. Da cos’è nata questa idea e come lo avete pensato?

“Si tratta di un’idea che avevamo da tempo ma che è slittata a causa della pandemia ed è ‘caduta’ nella data del cinquantennio. Tutto nasce dall’esigenza di creare spazi per la promozione, oltre che dei progetti, anche dei valori del servizio civile. La festa fa incontrare ambienti, soggetti e protagonisti con un linguaggio che mette al centro la bellezza della musica del teatro e fa spazio a una modalità diversa di raccontare la crisi climatica, la guerra, la partecipazione dei giovani”.

Come si articola il parlare della pace oggi, che non è solo assenza di guerra ma anche ambiente e cultura?

“Bisogna richiamare l’obiezione come ‘modo di essere’, sempre nell’ottica della pace positiva. Nella nostra cultura associamo la pace all’assenza di guerra, ma ci sono sempre tanti piccoli focolai di conflitto simbolici, come la violenza o le discriminazioni. Spesso non cogliamo né riconosciamo le tante forme di violenza che abbiamo intorno, così non riconosciamo tante di quelle che si potrebbero chiamare ‘azioni di pace’. Costruire una ‘pace positiva’ significa anche prevenire quelle che possono essere le cause di queste violenze. Il servizio civile forma al non conflitto, alla nonviolenza e ci fa aprire gli occhi ci su queste situazioni per attivarci a fare qualcosa. Pensiamo alla crisi climatica, è un problema collettivo che necessita di interventi di tutela e protezione dell’ambiente”.