Hong Kong: accusato di secessione l’attivista Tony Chung, volto della protesta

Applicata la legge sulla sicurezza nazionale all'ex leader Studentlocalism: Chung è stato il volto della protesta contro la Cina

L'attivista Tony Chung

Tony Chung, tra i primi attivisti pro-democrazia di Hong Kong arrestati per la controversa legge sulla sicurezza nazionale, è stato accusato di secessione come prima figura di maggior rilievo in forza della stessa legge imposta da Pechino.

Chung, 19 anni, è comparso in tribunale dove gli sono stati contestati i reati di riciclaggio di denaro e cospirazione con la pubblicazione di materiale sedizioso, due giorni dopo l‘arresto eseguito in un coffee shop di fronte al consolato Usa di Hong Kong dove voleva richiedere asilo. Il gruppo ‘Friends of Hong Kong’ ha rivendicato il tentativo di portare Chung al consolato generale americano dell’ex colonia per la richiesta di asilo.

Chung e Studentlocalism

Chung è l’ex leader di Studentlocalism, un piccolo gruppo studentesco pro-indipendenza che fu sciolto ufficialmente prima dell’entrata in vigore della legge sulla sicurezza nazionale, avvenuta nella notte del 30 giugno scorso, mantenendo tuttavia ancora operativi i capitoli attivi all’estero.

Chung e altri tre associati furono arrestati una prima volta a fine luglio per il sospetto di incitamento alla secessione attraverso i messaggi postati sui social media dalla polizia per la sicurezza nazionale, appositamente istituita. Tutti furono rimessi in libertà su cauzione.

Lo scorso 24 settembre era stato nuovamente arrestato anche l’attivista Joshua Wong. Il leader dell’opposizione al governo cinese è stato arrestato con l’accusa di “assembramento illegale”.

Hong Kong

Hong Kong è una regione amministrativa speciale della Cina. Nel 2019 è iniziato un vasto movimento di proteste – soprattutto studentesche – in seguito al tentativo dell’amministrazione filo-cinese di Hong Kong di introdurre una nuova legge che prevederebbe la possibilità di estradare nella Cina continentale tutte le persone accusate di reati gravi, ovvero di crimini punibili con una pena superiore ai sette anni di detenzione.

Il 28 maggio 2020, in risposta alle proteste, il governo di Pechino ha annuncia l’introduzione di una legge “sulla sicurezza nazionale”, in grado di estendere a Hong Kong i poteri concessi alle forze di polizia cinesi per contrastare reati di terrorismo, secessione, sovversione e ingerenza straniera. Dal 1 giugno al 1 luglio di quest’anno gli arresti fatti invocando la nuova legge sono stati circa 300.

Asilo in Usa

Proprio ieri, infatti, gli Stati Uniti hanno condannato gli ultimi arresti di attivisti come un ulteriore segnale della stretta sulle libertà nella città da parte di Pechino. Un portavoce del Dipartimento di Stato ha glissato sull’ipotesi della richiesta d’asilo, “a causa delle questioni legate alla privacy”.

Oltre al tentativo di Chung e di altri due attivisti bloccati dalla polizia, il South China Morning Post aveva riferito martedì di altre quattro persone che erano riuscite a entrare nel consolato, venendo però respinte. “L’asilo può essere richiesto solo al momento dell’arrivo negli Stati Uniti”, ha rilevato sul punto il portavoce.