Zanda (Pd): “Il premier chiarisca sul Russiagate”

Il capogruppo del Pd alla Camera Graziano Delrio si è detto fiducioso che Giuseppe Conte saprà chiarire, ma al tempo stesso il senatore dem Luigi Zanda chiede che il premier chiarisca davanti all' opinione pubblica sul Russiagate.  “E’ una storia poco chiara e perciò va chiarita con urgenza – dichiara Zanda a Repubblica -. I doveri che il premier ha davanti all' opinione pubblica non sono meno rilevanti di quelli che ha con il Copasir. Sono passati oltre due mesi dal primo incontro del ministro Usa William Barr con i nostri servizi segreti. È tempo di fare chiarezza”. Quindi per un esponente di rilievo della maggioranza che sostiene il governo Conte non è sufficiente aspettare l'audizione del presidente del Consiglio dinanzi al Copasir, il comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica perché “esiste anche un diritto dell'opinione pubblica a sapere e se possibile ad essere rassicurata”.

I tasselli mancanti nella vicenda

Secondo il senatore Pd in questa vicenda non torna il fatto che un politico autorevole, come il ministro della giustizia dell'amministrazione Trump, abbia incontrato i servizi segreti italiani. “È un' anomalia davvero rara – afferma Zanda al quotidiano diretto da Carlo Verdelli -. È una pratica ordinaria che i nostri servizi collaborino con i loro omologhi dei Paesi alleati, ma qui si è presentato il ministro della Giustizia”. A destare preoccupazione anche in settori della nuova maggioranza giallorossa è la dinamica di quanto accaduta. Un timore di scarsa trasparenza del quale si fa interprete il tesoriere e membro della direzione nazionale del Pd: “La politica non deve trascinare nella dialettica fra i partiti, o in polemiche internazionali, i servizi segreti, che sono notoriamente molto efficienti, come dimostra la loro attività di prevenzione sul fronte del terrorismo internazionale. Zanda vorrebbe che il presidente del Consiglio spiegasse cosa c’è dietro questa intricatissima storia: “Mi inquieta che due quotidiani del calibro del New York Times e del Washington Post facciano capire di essere in grado di pubblicare nuovi documenti su questa vicenda: di tutto abbiamo bisogno tranne che aprire una nuova stagione di veleni o di dossier”. A questo proposito il senatore dem è rimasto “molto colpito, a questo proposito, dalle accuse mosse da George Papadopoulos, l' ex collaboratore della campagna elettorale di Trump, nei confronti di Matteo Renzi, che è stato costretto ad annunciare querela”.

 La smentita del presidente del Consiglio

Il premier Giuseppe Conte ha smentito l'indiscrezione sul fatto che avrebbe chiesto alla Cia notizie sui comportamenti dei governi Renzi e Gentiloni. Si tratta, secondo Zanda di un'altra vicenda singolare, su cui il presidente del Consiglio dovrebbe fare chiarezza al più presto: “Mi auguro che non sia accaduto quanto trapelato”. E Conte ha tirato in ballo anche la presidenza della Repubblica. “La Presidenza della Repubblica non dovrebbe essere mai chiamata in causa, dico mai, su questioni riguardanti il governo, come previsto dalla Costituzione, figuriamoci in vicende di tale delicatezza”, spiega a Repubblica il tesoriere Pd. Il punto centrale è comprendere perché Giuseppe Conte abbia detto sì a Donald Trump e se lo abbia fatto per faciloneria, per compiacerlo. Una domanda che Zanda vorrebbe porre al premier “visto che non ha delegato la guida dei servizi segreti” e “ci sarà una ragione per cui Barr è venuto due volte in Italia e questa ragione va pubblicamente spiegata”.

Il pericolo di delegittimare i servizi

Il rischio, secondo Zanda, è che si apra una nuova stagione di veleni: “Si corre il pericolo di delegittimare i servizi. La forza di una democrazia sta nel rendere più forti le sue istituzioni, la magistratura, la stampa, l' intelligence”. Quindi “Giuseppe Conte è il nostro presidente del Consiglio e sono certo che chiarirà al più presto”. E proprio in merito alla vicenda degli incontri del ministro americano della Giustizia, William Barr, con i vertici dei servizi segreti italiani, nell'ambito del cosiddetto Russiagate, il premier ha confermato la propria disponibilità a riferire al Copasir. E ciò evidentemente per mettere fine alla raffica di voci, notizie e presunte tali che stanno emergendo da quando si è saputo dei coloqui a Roma tra Barr e gli 007 per avere informazioni su Joseph Mifsud, figura chiave del Russiagate di cui si sono perse le tracce dal 2017.

I nodi da sciogliere

Molte le questioni che attendono un chiarimento, a partire dalla irritualità con cui è nata l'intera vicenda: sia l'ambasciata italiana a Washington sia quella americana a Roma non avrebbero saputo nulla dei motivi del viaggio di Barr nella capitale. “Non è chiaro come nasce l'incontro di Ferragosto tra il ministro della Giustizia statunitense e il direttore del Dis Gennaro Vecchione, autorizzato da Conte- osserva Repubblica -. Così come non è chiaro chi lo abbia organizzato, se non sono stati i canali diplomatici e, a quanto se ne sa, neanche quelli d'intelligence”. Secondo il premier “i vertici dei servizi non hanno mai commesso alcuna anomalia, nessuna scorrettezza: è stato fatto tutto in trasparenza, secondo ordinarie e consolidate prassi, non ho incontrato alcuna delegazione americana”. Secondo fonti d'intelligence riferite da Repubblica, la questione ha dei punti fermi: dopo l'incontro tra Barr e Vecchione di Ferragosto, sul tavolo di Aisi e Aise è arrivata dal Dis una richiesta d'informazioni relative al professore maltese: chi fosse, se fosse oggetto d'interesse per la nostra intelligence, se fosse sotto la protezione italiane. Domande a cui entrambe le agenzie avrebbero risposto negativamente. “Le stesse risposte sarebbero poi state ripetute al premier in un incontro che si è tenuto il 26 settembre, il giorno prima della riunione tra i vertici degli 007 e i rappresentanti dell'amministrazione Trump – sottolinea il quotidiano diretto da Carlo Verdelli-. Occasione, questa, in cui è stato ribadito che l'Italia non sapeva dove fosse Mifsud e che in ogni caso sarebbe stato opportuno seguire i canali ufficiali, vale a dire procedere con le richieste tramite rogatoria”.

Le reazioni politiche

Per il leader della Lega Matteo Salvini “la parabola è bella che finita e può andare ovunque quando vuole”. Un riferimento appunto all'audizione del premier al Copasir. “Lo vedo confuso, dice tutto e il contrario di tutto ma evidentemente c'è qualcosa che non torna- aggiunge il leader del Carroccio -. Chiedeva chiarezza da me ora il popolo chiede chiarezza a lui”. Intanto l'ex ministro dell'Interno Vincenzo Scotti, presidente della Link University, l'università romana dove insegnava il professor Joseph Mifsud assicura al Washington Post di non essere stato contattato direttamente né indirettamente da alcuna autorità italiana o americana in merito al Russiagate e al professor Joseph Mifsud. “Che questa persona abbia agito come una pericolosa spia, non importa se per screditare o aiutare Trump, sembra una fiction”.  L’ex premier Matteo Renzi  sostiene di non essere preoccupato o interessato a “qualsiasi cosa pensino il procuratore generale William Barr, Giuliani o altri” riguardo alle accuse che gli sono state lanciate da George Papadopoulos di una presunta collusione con l'amministrazione Obama, all'epoca in cui era capo del governo, per orchestrare il Russiagate ai danni di Donald Trump. “La tesi, secondo alcune ricostruzioni giornalistiche, sarebbe al centro della contro-inchiesta sul Russiagate condotta dal ministro della Giustizia Usa Barr”, evidenzia Repubblica. Sull’ex presidente Usa, Renzi precisa: “La serietà e il rigore di Barack Obama non sono in discussione e sono pronto ad affermarlo ovunque”.

L’enigma Papadopoulos

Papadopoulos è l'ex consulente della campagna presidenziale di Trump al quale secondo il rapporto del procuratore speciale Robert Mueller, il professore maltese Joseph Mifsud, in un incontro alla romana Link University, avrebbe offerto del materiale “sporco” su Hillary Clinton. Da lì ebbe praticamente inizio il cosiddetto Russiagate. “Per le sue affermazioni su Renzi, Papadopoulos, che ha scontato una breve condanna per aver mentito all'Fbi sulla vicenda, è stato recentemente querelato dall'ex premier italiano, con una richiesta di un milione di dollari”, ricostruisce Repubblica. E al Washington Post l’ex premier dichiara:”Non mi sembra una spy story, quanto un film comico di terza categoria e quando ti trovi di fronte a un film comico di terza categoria che non fa nemmeno ridire, bisogna reagire”.