Martocchi: “L’importanza della comunicazione medico–paziente”

L'intervista di Interris.it alla dott.ssa Chiara Martocchi medico ortopedico che, dopo un grave incidente, è diventata a sua volta paziente

Una corsia d’ospedale (© Foundry Co da Pixabay) a dx la dott.ssa Chiara Martocchi (© Chiara Martocchi)

Trovarsi ad essere improvvisante un paziente ospedaliero è un momento molto delicato. Ci si trova ad affrontare un periodo di difficoltà, si è in una posizione di bisogno dagli altri e spesso si è anche in condizioni fisiche di disagio o dolore. In questa fase così delicata le figure sanitarie con cui il paziente viene a contatto sono molte, tutte estremamente importanti, con ruoli e compiti differenti. Indubbiamente il ruolo del medico è centrale. Interris.it, in merito all’importanza del rapporto medico – paziente, ha intervistato la dott.ssa Chiara Martocchi, medico ortopedico che, dopo aver subito un grave incidente in cui ha riportato diverse fratture, è diventata a sua volta paziente. È laureata presso l’Università degli Studi di Milano, con specializzazione clinica presso il Policlinico San Donato ed è entrata nella scuola di specialità a Pavia, ove ha svolto gran parte della specializzazione. Nel corso della sua carriera ha svolto sei mesi di servizio in Guadalupa e sei mesi di specialità in ambito pediatrico presso l’Humanitas di Milano e l’ospedale Mayer di Firenze. Attualmente è in servizio presso la SC di Ortopedia e Traumatologia dell’ASST Valtellina e Alto Lario.

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L’intervista

Dott.ssa Martocchi qual è, per lei, il significato più profondo dell’essere un medico? Come si esplica nella sua professione e nel rapporto con i pazienti?

“Mi definirei un ortopedico un po’ anomalo. A me personalmente, il rapporto con i pazienti piace molto: l’ascolto è fondamentale, sentendo la loro descrizione del problema e lasciandoli manifestare le loro preoccupazioni. Ho sempre preferito essere più lenta nelle visite ma ascoltare di più i pazienti. Essi devono capire ciò che viene detto loro in maniera chiara, evitando di esprimersi in ‘medichese'”.

Recentemente ha subito un grave incidente che, da medico ortopedico, l’ha portata a diventare a sua volta paziente. Cos’ha significato per lei? Qual è l’insegnamento più profondo che ha tratto da questa esperienza?

“Quella che ho vissuto e sto vivendo non è sicuramente una bella esperienza, ma è il modo più pratico e concreto per mettersi nei panni di coloro che, solitamente, sono i pazienti. In un colpo solo mi sono procurata molte fratture e, un ricovero molto lungo in reparti diversi, tra cui anche quello in cui lavoro. Questo aspetto ha rappresentato per me una full immersion nel ruolo del paziente che ha capovolto la mia prospettiva. Ciò mi ha aiutato a capire meglio molti fattori, le paure quotidiane dei pazienti che, in determinati momenti, stanno male e hanno bisogno. Farò tesoro di questa mia esperienza di paziente per capire ciò che, a volte, si può migliorare nella comunicazione medico-paziente, infermiere-paziente o oss-paziente. Inoltre, questa vicenda, mi è servita moltissimo anche per rivalutare dei ruoli, come ad esempio quello degli oss che, spesso, nell’ambito dell’assistenza sanitaria, passano in secondo piano. È invece una figura fondamentale perché è fisicamente vicina al paziente. Ci si accorge quanto è importante trovare qualcuno che abbia pazienza in un momento di bisogno dove, forse, si fa anche fatica a chiedere aiuto. Apprezzavo già molto questa figura, ma ora ancora di più e sono profondamente grata”.

Guardiamo al futuro: che cosa si porterà in corsia di questa esperienza? Come vede il suo futuro professionale?

“Sicuramente mi sentirò molto più vicina ai pazienti. In passato, per altre esperienze familiari, ho avuto molto vicina la visione del paziente e ora l’ho capita al 100%”. Mi sono sempre piaciuti molto i bambini quindi, in futuro, vorrei specializzarmi sempre di più nell’ambito dall’ortopedia pediatrica. In riguardo alla carriera, a me personalmente, basta far bene il mio lavoro e vedere i miei pazienti, per quanto possibile, felici. È importante essere un buon medico e lasciare un bel ricordo”.

Che cosa direbbe a un paziente che sta vivendo un’esperienza simile alla sua? Dove ha trovato la forza nel quotidiano per affrontare questo percorso?

“Gli direi che ci saranno sicuramente dei momenti bui, ma poi si aprirà uno spiraglio di luce. È un saliscendi di sensazioni ed emozioni, in cui arrivano anche quelle positive. Ho la fortuna di avere una bellissima famiglia ed un’altra che ho scoperto di avere con i miei colleghi in ospedale. Questo ha avuto una grande importanza ed è stata una fortuna”.