Papa Francesco ai papà: “In san Giuseppe trovino sostegno e conforto”

Il Santo Padre, dalla finestra su Piazza San Pietro, si rivolge ai papà, ponendo l'esempio di Giuseppe per "vivere bene la loro paternità"

Papa Francesco
Foto © VaticanMedia

“Oggi facciamo gli auguri a tutti i papà! Che in san Giuseppe trovino il modello, il sostegno, il conforto per vivere bene la loro paternità”. Un augurio che chiude l’Angelus domenicale di Papa Francesco, rivolto a ogni papà del mondo, in Piazza San Piero e nei luoghi più remoti del Paese. E, nondimeno, nei contesti di sofferenza, noti e dimenticati. E che, soprattutto, arriva nel giorno in cui il Vangelo narra l’episodio della visita di Gesù a un uomo cieco dalla nascita. Un prodigio accolto con diffidenza da molte persone. La narrazione evangelica, tuttavia, mostra come “procede Gesù e come procede il cuore umano: il cuore umano buono, il cuore umano tiepido, il cuore umano timoroso, il cuore umano coraggioso”. Ma, insieme, il modo in cui le persone accolgono il segno. Inclusi i discepoli di Gesù: c’è chi finisce nel chiacchiericcio e chi cerca un colpevole per spiegare la cecità dell’uomo.

Le reazioni al segno

Cercare un colpevole anziché “porsi domande impegnative nella vita”. Questo è la prima reazione, anche se non l’unica. “E oggi – spiega Francesco – possiamo dire: cosa significa per noi la presenza di questa persona, cosa chiede a noi?”. A guarigione avvenuta, le reazioni aumentano: c’è chi è scettico, chi non ritiene che quel cieco sia la stessa persona. “In tutte queste reazioni, emergono cuori chiusi di fronte al segno di Gesù, per motivi diversi: perché cercano un colpevole, perché non sanno stupirsi, perché non vogliono cambiare, perché sono bloccati dalla paura. E tante situazioni assomigliano oggi a questa. Davanti a una cosa che è proprio un messaggio di testimonianza di una persona, è un messaggio di Gesù, noi cadiamo in questo: cerchiamo un’altra spiegazione, non vogliamo cambiare, cerchiamo una via di uscita più elegante che accettare la verità”.

Rendere testimonianza

Solo il cieco reagisce bene, è felice di vedere di nuovo e “testimonia quanto gli è accaduto nel modo più semplice: ‘Ero cieco e ora ci vedo'”. Ora, l’uomo rende testimonianza a Gesù: “Non ha paura di quello che diranno gli altri: il sapore amaro dell’emarginazione lo ha già conosciuto, per tutta la vita, ha già sentito su di sé l’indifferenza il disprezzo dei passanti, di chi lo considerava come uno scarto della società, utile al massimo per il pietismo di qualche elemosina. Ora, guarito, quegli atteggiamenti sprezzanti non li teme più, perché Gesù gli ha dato piena dignità”. Ma il angelo, in qualche modo, mette anche noi nel mezzo della scena: “Mi domando: com’è la mia dignità? Com’è la tua dignità? Testimoniamo Gesù oppure spargiamo critiche e sospetti? Siamo liberi di fronte ai pregiudizi o ci associamo a quelli che diffondono negatività e pettegolezzi?”. Il cieco, libero nel corpo e nello spirito, rende chiaro cosa avviene “quando Gesù ci guarisce, ci ridona dignità, la dignità della guarigione di Gesù, piena, una dignità che esce dal fondo del cuore, che prende tutta la vita”.