Malattie rare: quando ad ammalarsi è la donna

L'intervista di Interris.it, in occasione della Giornata Mondiale delle Malattie Rare, alla dottoressa Annalisa Scopinaro di Uniamo

malattie rare - scopinaro
A destra la dottoressa Annalisa Scopinaro. Foto di swiftsciencewriting da Pixabay

L’Istituto Superiore di Sanità dichiara che in Italia sono oltre due milioni le persone con una diagnosi di malattia rara. Si tratta però di una problematica molto più ampia, in quanto indirettamente impatta su un numero maggiore di persone. Chi è affetto da questo tipo di patologie, molte delle quali ancora sconosciute, ha bisogno infatti di qualcuno che si prenda cura di loro e nella maggioranza dei casi si tratta di una figura femminile. La donna per rispondere a questa esigenza deve fare molte rinunce personali e la situazione è ancora più critica quando è lei stessa ad essere la persona malata.

L’intervista

In occasione della XIII Giornata Mondiale delle Malattie Rare, Interris.it ne ha parlato con la dottoressa Annalisa Scopinaro, presidente di Uniamo, Federazione Italiana Malattie Rare, che da 25 anni opera per tutelare e difendere i diritti delle persone con malattia rara e le loro famiglie.

Presidente, nel pensiero comune la donna è quella figura che, in caso di persona malata in casa, è destinata a diventare caregiver. A cosa deve rinunciare per rispondere a questo difficile compito?

“La famiglia che si trova ad affrontare una problematica di salute richiede la riorganizzazione delle attenzioni e del tempo e tutte queste nuove attività vengono, nella maggior parte dei casi, delegate alla donna. Questa incombenza la può portare a dover diminuire l’attività lavorativa, spesso con un dimensionamento, o addirittura a cessarla del tutto. Quando questo non accade, si assiste in ogni caso ad un incremento dello stress dovuto ai molteplici impegni che la concomitanza di attività lavorativa e di cura comportano, affiancati anche alla gestione ordinaria della famiglia. Date le spese che la malattia comporta infatti, non sempre è possibile prevedere aiuti, anche sporadici, per le attività quotidiane. Ci troviamo difronte ad un annullamento della donna, in cui la propria cura, la prevenzione e il proprio benessere psicofisico passano in secondo piano, tanto che è stato riscontrato che le persone che svolgono il ruolo di caregiver vivono molti anni in meno rispetto alla media”.

Quando ad essere malata è la donna che cosa accade al nucleo familiare?

“Anche in questo caso la famiglia è colpita con delle ripercussioni molto forti. Viene infatti a mancare la figura che tradizionalmente leghiamo all’accudimento di tutti i membri e che funge da supporto non solo per la propria famiglia ma anche per le famiglie di origine, spesso anziane e altrettanto bisognose di cura e di attenzioni. Capita che una delle prime conseguenze davanti all’insorgenza della malattia sia quella di decidere di non avere figli per non catapultarli in una situazione difficile da gestire. Non sempre però il compagno resiste e alcune volte capita anche che ci sia una divisione della coppia, lasciando quindi la donna doppiamente sola, nella vita e nella malattia”.

Ci sono delle malattie rare che colpiscono maggiormente le donne?

“Si, basti pensare alla cistite interstiziale, ad alcune patologie ematologiche, o a tumori rari di origine genetica come il BRCA1. Ad oggi però non ci sono molti dati disponibili e la salute della donna è ancora un qualcosa di poco esplorato, così come le disposizioni sulla medicina di genere largamente inapplicate. Per questo motivo credo che sarebbe opportuno avviare degli studi e delle ricerche più approfondite su questa tematica”.

Ad oggi esiste un approccio medico-assistenziale per curare le donne affette da una malattia rara?

“Purtroppo no e dalla nostra esperienza per ottenere un percorso diagnostico e di presa in carico completa servirebbe un approccio basato sulla medicina narrativa. Nonostante sia ancora poco diffuso, è l’unico metodo che possa davvero garantire una visione olistica che non considera solo la patologia, ma la persona in toto. Inoltre, per le malattie rare sarebbe consigliato un approccio multidisciplinare, che possa assicurare di non sottovalutare nessuno dei sintomi e delle comorbidità che possono innescarsi e che porterebbe a un reale miglioramento della qualità di vita della persona malata e dei componenti della sua famiglia”.

Che cos’è Women in Rare e che scopo ha?

“Si tratta di un progetto nato dalla consapevolezza che, nonostante in Italia esista una rete di centri di riferimento di assoluta eccellenza, tuttavia vi è ancora la tendenza a sottovalutare le malattie rare e il loro impatto. Al centro dell’iniziativa ci sono le donne, nel doppio ruolo di pazienti e di caregiver. Attraverso una ricerca bibliografica e survey specifiche vengono raccolti dati e documentazioni sulla situazione delle donne nel campo delle malattie rare, per poi arrivare a un dossier che ha lo scopo di sensibilizzare da un lato le istituzioni ad affrontare i problemi legati alla malattia e dall’altro la popolazione con eventi pubblici e con campagne social mirate”.