Gesù è nato in periferia: il Natale della condivisione con gli ultimi

È Natale ogni volta che rimani in silenzio per ascoltare l’altro”, diceva Madre Teresa. In questi giorni nel mondo siamo in tanti a scambiarci gli auguri di un buon Natale. Si corre nei negozi a fare regali sapendo e sperando di far felice qualcuno che amiamo o qualcuno a cui vogliamo far sentire la nostra stima e considerazione. Ci sono anche tanti gesti di solidarietà verso i più deboli e poveri, qualcuno (ma ho visto negli anni sempre di meno) si ricorda almeno a Natale delle persone più sole ed emarginate. Mi ha colpito il gesto di un importante imprenditore che l’anno scorso portò nella mia comunità tanti panettoni e pandori ma con un po’ di ritardo, verso Pasqua. Stavano andando in scadenza e così si ricordò che poteva smaltirli in questo modo. Un’altra volta ci arrivarono invece per Natale delle uova di Pasqua (tutte rotte) e mi chiesero anche se ero stato contento di riceverle. Però poi ci sono anche tanti gesti sinceri di affetto che si fanno senza opportunismo e senza un secondo fine: questi sono i più belli, quelli che ti fanno sentire una carezza al cuore.

Il Santo Natale di Gesù è un dono immenso che risuona in tutto il mondo con il suo messaggio di speranza e di vita anche lì dove l’Emmanuele non è riconosciuto o addirittura dove è odiato. In alcuni Paesi è rischioso presentarsi come cristiani e le persecuzioni sono ancora una realtà dei nostri tempi. In visita alla parrocchia di una borgata romana papa Francesco ha riassunto con una folgorante immagine il senso inclusivo del Natale: “Gesù è nato in periferia”. E ricevendo in udienza gli organizzatori del “Concerto di Natale con i poveri e per i poveri” Francesco ha aggiunto: “Non basta la musica, non bastano le luci, gli addobbi. Ci vuole la preghiera”. Le festività, quindi, come “momento di incontro, condivisione, fraternità”. E’ questo il modo davvero “cristiano” di festeggiare la nascita di Gesù, lo stile coerente con il senso del Natale. Una solennità che parte dall’essere “per i poveri” ma poi diventa “con i poveri”. Questa è la chiave per celebrare degnamente la Natività.

Negli auguri ai fedeli monsignor Francesco Massara, arcivescovo di Camerino-San Severino e vescovo di Fabriano-Matelica auspica che l’ospitalità sia “il primo passo per costruire la pace”. E invita a “fare posto alla vita, a Dio che assume l’aspetto del povero e a una presenza discreta e sincera per costruire la pace e offrire gratuità senza essere distratti”. Nel definire l’essenza della Chiesa e il suo mandato, la Costituzione dogmatica “Lumen Gentium” mette al centro il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano. Il Natale racchiude e simboleggia proprio l’amore che è la principale vocazione della Chiesa aperta testimoniata da Francesco. E’ l’Ecclesia che esce da se stessa, si china sui poveri, si spalanca al mondo e all’umanità, sentendosene parte. Proprio lo spirito natalizio ci indica la via della solidarietà con il genere umano.

Mentre infuriano guerre devastanti dall’Ucraina alla Terra Santa, dalla Siria al Corno d’Africa, quella costruita da Francesco, nei suoi viaggi, nei suoi incontri e nell’attività diplomatica della Santa Sede è una “geopolitica della misericordia” estranea a compromessi o ad alleanze di comodo, libera e rivolta ai poveri e a ogni situazione di bisogno e di sofferenza, capace di sostenere e accompagnare con volto di madre. La nascita del Bambino in un’umile mangiatoia racchiude la “chiamata” per i cristiani di ogni epoca. Da vescovo il sommo teologo Sant’Agostino propose e attuò centri di aiuto per i poveri e invitò i suoi sacerdoti ad evangelizzare tutte le etnie presenti nel territorio della sua diocesi. Concludendo il Concilio, San Paolo VI, sul sagrato della basilica vaticana, si rivolse ai poveri e ai sofferenti. La stessa formazione di Jorge Mario Bergoglio avviene nella teologia del popolo. La sua identità è quella del sacerdote di strada che ha un orecchio al popolo e un altro al Vangelo e sa qual è il linguaggio giusto per farsi comprendere. Un desiderio che spinge costantemente ad “andare incontro agli indigenti, agli afflitti, ai bisognosi”, come evidenzia la “Evangelii Gaudium”. Così, proprio l’esercizio della misericordia diventa il criterio di verità della fedeltà al Vangelo: nella comunità primitiva come nella Chiesa di oggi che Francesco vuole sempre in uscita per portare al mondo la misericordia e la salvezza di Dio. Il punto d’arrivo è sempre l’esperienza di un incontro personale con Gesù, che trasforma le relazioni con gli altri, con la società, con l’ambiente. È la meta a cui puntano gli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola, con cui Francesco ha profonda familiarità.

Dal Natale trae linfa un percorso autenticamente mistico, non “una via di fuga” per abbandonare il mondo e arrivare al settimo cielo, ma un sentiero da percorrere insieme agli ultimi per scoprire il mistero che si cela nella profondità dell’esistenza umana. La Laudato si’ precisa che “l’universo si sviluppa in Dio, che lo riempie tutto”, dunque c’è un mistero da contemplare in una foglia, nella rugiada, nel volto di un povero. Da qui l’incessante esortazione del Papa a pregare per la pace in Ucraina, in Siria, in Terra Santa, in diverse parti dell’Africa. Oggi come duemila anni fa. Per decreto dell’imperatore, infatti, Maria e Giuseppe si videro obbligati a partire. Dovettero lasciare la loro gente, la loro casa, la loro terra e mettersi in cammino per essere censiti. Un tragitto per niente comodo né facile per una giovane coppia che stava per avere un bambino: si trovavano costretti a lasciare la loro terra. Nel cuore erano pieni di speranza e di futuro a causa del bambino che stava per venire. I loro passi invece erano carichi delle incertezze e dei pericoli propri di chi deve lasciare la sua casa.

Da sempre il magistero della Chiesa considera la povertà una privazione grave di beni materiali, sociali, culturali che minaccia la dignità della persona. I poveri sono quanti soffrono di condizioni disumane per quanto riguarda il cibo, l’alloggio, l’accesso alle cure mediche, l’istruzione, il lavoro, le libertà fondamentali. Quando al centro del sistema non c’è più l’uomo ma il denaro, quando il denaro diventa un idolo, gli uomini e le donne sono ridotti a semplici strumenti di un sistema sociale ed economico caratterizzato, anzi dominato da profondi squilibri. E così si scarta quello che non serve a questa logica: è quell’atteggiamento che scarta i bambini e gli anziani, e che ora colpisce anche i giovani. “Mi ha impressionato apprendere che nei Paesi sviluppati ci sono tanti milioni di giovani al di sotto dei 25 anni che non hanno lavoro –  si rammarica il Pontefice -. Li chiamano i giovani ‘né-né’, perché non studiano né lavorano. Non studiano perché non hanno possibilità di farlo, non lavorano perché manca il lavoro. Intanto la cultura dello scarto porta a rifiutare i bambini anche con l’aborto”.

Significativamente, a ridosso del Natale, il Papa ha sottolineato il suo “vivo apprezzamento” per l’opera dei missionari che promuovono la dignità umana nel mondo. Ancora oggi, infatti, in molte zone rurali più remote, la dignità umana viene calpestata a causa di egoismi economici e politici. Quindi Jorge Mario Bergoglio invoca buoni samaritani che si adoperino nei diversi ambiti per garantire a ciascuno un futuro migliore all’insegna della libertà, della giustizia e della pace. Così da edificare una società solidale e armoniosa. In questi giorni in tante diocesi è riecheggiato il richiamo del Santo Padre alla condivisione con gli ultimi. “Abbiamo bisogno di pace, la cerchiamo, la invochiamo, preghiamo insistentemente – osserva l’arcivescovo di Ancona-Osimo, monsignor Angelo Spina -. Le guerre, però, continuano a seminare morti, sofferenze e lutti, in Europa, nel Medio Oriente, nella Terra Santa, nel mondo. Non dobbiamo per nessuna ragione al mondo, assuefarci davanti a tutto ciò, quasi dando per scontata questa terza guerra mondiale a pezzi”.

Occorre, quindi, tornare a Betlemme, dove gli angeli hanno annunciato: “Pace agli uomini, che Dio ama”. Ricorrono gli ottocento anni da quando San Francesco realizzò il primo presepe della storia a Greccio. I primi invitati ad andare al presepe furono i pastori, gli ultimi, gli emarginati di quel tempo. I pastori di ieri sono i poveri di oggi. Ovvero i profughi non accolti, quelli costretti a vivere in condizioni disumane, i giovani che non trovano lavoro, le donne che subiscono violenza, i bambini e gli anziani che restano marginali nella nostra società. Nascendo a Betlemme, Dio inizia l’unica vera rivoluzione che dà speranza e dignità ai diseredati, agli emarginati. E cioè la rivoluzione dell’amore e della tenerezza. Scegliere gli “invisibili” come compagni di strada realizza lo spirito del Natale. L’obiettivo è un mondo più umano e fraterno, dove nessuno sia escluso ed emarginato.