Farabollini: “In Italia manca una verifica attenta sullo stato del nostro patrimonio edilizio”

Dopo il terremoto che ha colpito il Giappone l’1 gennaio, l’intervista di Interris.it al presidente dell’Ordine dei geologi delle Marche Piero Farabollini

Nell'immagine: a destra Foto di Angelo Giordano da Pixabay; a sinistra Piero Farabollini (per gentile concessione Ordine dei Geologi delle Marche)

Nel giro di un anno, per tre volte la notizia di forti terremoti ha occupato le pagine dei giornali. Lo scorso febbraio una scossa di magnitudine 7.8 – seguita da un’altra di 7.5 – ha colpito la provincia di Kahramanmaras, nella regione di confine tra la Turchia meridionale e la Siria settentrionale, con oltre 50mila morti accertati (soprattutto dal lato turco). A settembre un sisma ha fatto tremare la terra nella regione di Marrakech-Safi, in Marocco, con quasi tremila vittime. Al debutto del 2024 il Giappone, che si trova in una delle aree del mondo a maggiore pericolosità sismica, è stato scosso da un movimento tellurico di magnitudo 7.6, secondo l’Agenzia meteorologica nipponica, con oltre 200 morti e migliaia di costruzioni crollate o danneggiate. Nonostante le vittime e i danni, secondo gli esperti il Paese del Sol levante è particolarmente resiliente agli effetti di questi fenomeni naturali grazie all’ingegneria antisismica. Alla luce di questi tre eventi, e di quelli che hanno riguardato il nostro Paese negli ultimi anni (L’Aquila, Emilia-Romagna, Centro-Italia), sorge spontanea la domanda: quanto è “antisismica” l’Italia, dove nel 2023 si è registrato un terremoto ogni 30 minuti? Interris.it ha posto l’interrogativo al presidente dell’Ordine dei geologi delle Marche, nonché già commissario straordinario per la ricostruzione dopo il terremoto del 2016, Piero Farabollini.

L’intervista

Da tecnico, come valuta il sisma che ha colpito il Giappone alcuni giorni fa?

“È un bilancio grave, ma soprattutto noi italiani sappiamo bene che avrebbe potuto essere ben peggiore, soprattutto alle nostre latitudini. La scossa più forte che si è verificata nel Giappone centrale, infatti, è stata di magnitudo 7.4 e, in un Paese con una solida e radicata tradizione di edilizia antisismica, neanche un terremoto di tale entità ha provocato il disastro che in molte altre aree del mondo si sarebbe verificato per terremoti anche meno intensi”.

Nel nostro Paese potrebbero verificarsi terremoti di quella magnitudo?

“È davvero molto improbabile. I sismi infatti dipendono dalla struttura sismogenetica che li origina: in Italia la maggior parte dei terremoti sono di natura distensiva; solo a largo della costa adriatica sono prevalentemente di natura compressiva. In Giappone sono invece legati a processi di subduzione: la placca pacifica, cioè, che si infila sotto la placca nordamericana. La magnitudo è legata alla lunghezza della faglia: in Italia, tutto sommato, pur essendo numerose, queste faglie sono piccole mentre quella che ha originato il terremoto è notevolmente più estesa. Purtroppo, però, l’Italia non riesce a capitalizzare questo piccolo vantaggio geologico: ricordo infatti che il 24 agosto 2016 un sisma di magnitudo 6.0 causò la morte di 299 persone nel centro Italia. E se il successivo 30 ottobre, quando si verificò una scossa di 6.5, non ci furono vittime dirette, fu solo perché gran parte degli abitanti di quella zona erano ormai stati evacuati”.

Quanto sono antisismiche le costruzioni in Italia?

“Non nascondiamoci: in Italia una verifica attenta e precisa sullo stato del nostro patrimonio edilizio non esiste. Il governo Renzi fece fare un’indagine sullo stato di sicurezza degli edifici strategici e venne fuori che circa il 75% degli edifici non aveva caratteristiche antisismiche. È un dato che non sorprende, visto che il nostro è un Paese ad alta densità abitativa e dove la maggior parte degli insediamenti risalgono a molti secoli fa. Non possiamo scandalizzarci se a sbriciolarsi per un terremoto di magnitudo 5 o 6 è una chiesa del decimo secolo; dovremmo farlo quando a crollare sono edifici di pochi anni fa. Perché le normative antisismiche in Italia esistono da diversi decenni e vengono regolarmente aggiornate sulla base di nuove conoscenze in ambito ingegneristico e di geologia. Le norme tecniche sulle costruzioni del 2018, emanate a seguito della sequenza sismica del centro Italia, rappresentano l’ultima versione. Ma riguardano gli edifici di nuova realizzazione”.

Come intervenire quindi a tutela degli edifici più vecchi?

“Il problema endemico, quello del patrimonio esistente ormai obsoleto e realizzato con criteri inadeguati, resta drammaticamente irrisolto. Attraverso strumenti come bonus fiscali – il Sismabonus ad esempio è stato finora largamente sottoutilizzato – e progetti di prevenzione come la microzonazione sismica, che nel cratere del sisma 2016 ha consentito di indicare le aree che potrebbero avere una maggiore amplificazione del segnale sismico e che quindi sono degne di indagini sito-specifiche per evitare danni e morti al momento dell’evento. Infine, non va dimenticata la delocalizzazione di edifici o interi abitati, laddove non sia possibile ridurre il rischio in maniera accettabile. Un’opzione spesso ignorata o avversata dai politici, preoccupati di perdere consenso elettorale, ma a volte l’unica scelta responsabile per tutelare il bene più prezioso che ci sia: la vita dei cittadini”.