Don Merola: ”Le mie creature contro la camorra”

Il settimanale Visto racconta come il sacerdote a Napoli con la sua Fondazione “A voce de Creature” lotta contro la criminalità “con le armi della fede, della cultura e della fiducia nel lavoro onesto”

Meglio morire in piedi che vivere inginocchiati“. Sono le parole di don Luigi Merola, il prete “anticamorra” del quartiere Forcella di Napoli (il nome del rione deriva dal suo caratteristico bivio a ipsilon che ricorda le fattezze di una forcella). Una frase molto forte, ma efficace la sua, che denuncia l’alto tasso di disagio e criminalità della zona, dove chi comanda non è lo Stato, ma la camorra. In questi ultimi anni don Luigi ha contribuito a lanciare un urlo contro le organizzazioni criminali che imperversano nel quartiere, con coraggio e diplomazia, dimostrando alla delinquenza locale, alla cittadinanza e soprattutto ai giovani che si deve combattere per i propri ideali e che non ci si deve mai arrendere anche di fronte a situazioni difficili.

Don Merola, nel 2004, era presente quel giorno, a Forcella, quando ammazzarono “per sbaglio” Annalisa Durante, durante una sparatoria tra clan rivali. Annalisa aveva solo 14 anni. Al suo funerale don Merola usò parole di fuoco contro la camorra, fece condannare il suo assassino e inoltre smantellò tutte le telecamere installate dai clan consegnando al questore una videocassetta per documentare lo spaccio di droga. Questi sono solo alcuni degli atti che hanno dato inizio al calvario di don Luigi perché, nello stesso anno, fu intercettato un camorrista che diceva: «Se questo prete non la smette, lo ammazzerò sull’altare». Queste parole segnano l’inizio della vita blindata di don Luigi.

Dove lo Stato è assente, lui invece è presente, con i suoi collaboratori: «Alle armi bisogna anteporre la parola, il dialogo, questi ragazzi devono capire che inseguire la violenza è sbagliato, non si diventa uomini perché sei al servizio di un clan, ma lo studio che ti fa crescere, il credere in sé stessi e crearsi un futuro. Queste sono le basi per diventare dei veri uomini e dei futuri cittadini onesti».

Scegliendo di vivere in questo quartiere, don Luigi ha deciso di creare una Fondazione, ’A voce d’e Creature, che opera all’interno della ex villa del boss dell’Arenaccia ora in carcere. Con il suo gruppo di volontari ha riabilitato e continua a educare centinaia di ragazzini, perché come ama dire lui stesso: «Non sono nati delinquenti, perché nessuno nasce delinquente».

Qualche settimana fa un centro gestito da don Merola a Pompei è stato devastato da mani ignote, ma lui non si ferma e sui suoi social ha scritto: «Continuerò a occuparmi di questi ragazzi, in particolare quelli che si sono allontanati dalla scuola. Sono oltre quaranta quelli che frequentavano la sede distaccata di Pompei, dove si tenevano lezioni di recupero scolastico, ma anche laboratori di informatica, musicali, danza e sport. Presto riapriremo». Lo abbiamo incontrato per farci raccontare la sua storia.

Don Luigi, un mese fa è stata vandalizzata la seconda sede che avete aperto a Pompei, un altro atto intimidatorio nei suoi confronti?

«Direi proprio di sì. La criminalità organizzata non accetta che una parte dei beni confiscati siano finiti in nostro possesso per essere utilizzati a scopo sociale per il recupero di giovani e ragazzi che altrimenti finirebbero nella rete della camorra. Non solo la sede di Pompei è stata saccheggiata, ma in precedenza anche quella di Napoli, con una bomba carta, esplosa per fortuna quando il centro era chiuso. Un chiaro messaggio: siamo ingombranti non ci vogliono, ma noi continueremo la nostra opera, non ci facciamo intimidire e presto riapriremo la sede di Pompei, così i 40 ragazzi che quotidianamente la frequentano potranno ritornare per le lezioni di recupero scolastico, di informatica, musica, danza e sport».

Vive sotto scorta dal 2004. Perché?

«Ho la scorta dal 6 aprile del 2004 a causa delle minacce di morte che mi sono arrivate dai clan. Sono stato un testimone prezioso per far condannare l’assassino di Annalisa Durante, 14 anni, uccisa per sbaglio durante un conflitto a fuoco tra bande rivali. Salvatore Giuliano, il suo assassino, è stato condannato a 24 anni di prigione, anche se ne ha poi scontati solo 16. Uscito dal carcere, è stato nuovamente arrestato e adesso è detenuto, insieme ad altri tre giovani, tutti accusati di avere imposto il pizzo ad alcuni gruppi di migranti che vivono a Forcella, nel centro di Napoli: pretendevano che pagassero un affitto non dovuto. Durante la precedente detenzione cercò di mettersi in contatto con me, ma per motivi di sicurezza mi impedirono di incontrarlo in carcere. Lui dice di essersi pentito per aver ucciso Annalisa. Io non gli credo, ma se vuole davvero pentirsi sono disponibile a un incontro, a patto che racconti tutta la verità sull’assassinio di quella povera ragazza. A causa sua ho vissuto per anni con quattro carabinieri che mi seguivano notte e giorno spostandomi dentro un’auto blindata. Ora da due anni ho solo una tutela alla persona perché secondo lo Stato non sussiste più il pericolo che io venga ucciso, però ricevo spesso minacce e intimidazione come recentemente è avvenuto a Pompei».

Ha mai avuto paura di essere ucciso?

«Qualche volta ci ho pensato, ma poi mi sono detto che questo è il volere di Dio. Non ho pura di morire, continuerò nella mia opera: salvare questi ragazzi, evitando che finiscano in mani sbagliate rovinandosi per sempre la vita».

Quando nasce la Fondazione: “A voce d’e creature”?

«La Fondazione nasce dopo l’assassinio di Annalisa Durante, da un bene confiscato alla camorra. Ha sede nella storica “Villa di Bambù”, che era del boss Raffaele Brancaccio, ragioniere del clan Contini, clan di spicco negli anni ’80 e ’90. Ci venne data dal Comune di Napoli nel 2007  in comodato d’uso gratuito. Siamo attivi sul territorio di Napoli, in particolar modo nel quartiere Arenaccia-Poggioreale e raccogliamo i minori di tutti i quartieri limitrofi. Ci occupiamo di interventi di recupero per i percorsi scolastici invogliandoli a continuare negli studi, studiamo e creiamo progetti finalizzati all’erogazione di servizi assistenziali, di aggregazione sociale e integrazione culturale e infine forniamo gli strumenti necessari alla collocazione occupazionale dei giovani, per poterli poi introdurre nel mondo del lavoro, con la formazione di nuove figure professionali attraverso il recupero di antichi mestieri e professioni artigianali».

 

Per mantenere una struttura come la vostra servono molti soldi. Chi vi aiuta?

«Abbiamo bisogno di circa 200mila euro l’anno per i costi globali, tra stipendi e spese varie. Solo i privati ci aiutano. Di recente abbiamo ricevuto 5000 euro dalla BPM, soldi che sono serviti per l’acquisto di tablet da dare ai ragazzi, che poi li hanno utilizzato durante il lockdown».

Qualche anno fa ha attaccato duramente Maria De Filippi, definendola «la cattiva maestra della gioventù italiana di oggi». Perché?

«In realtà volevo far riflettere i genitori: non è possibile lasciare i ragazzini intere giornata davanti a trasmissioni di questo genere, illudendoli che solo la tv possa dar loro un futuro migliore. Vogliono andare tutti al Grande fratello o ad Amici. Ai miei ragazzi dico sempre: “Studiate, studiate, studiate, chattate di meno e non guardate certi programmi in tv”. Si rischia di veicolare i ragazzi in un mondo fatto solo di illusioni e pochissime certezze. Il futuro se lo devono costruire giorno dopo giorno, con lo studio oppure imparando un lavoro. In Fondazione teniamo impegnati i ragazzi tutto il giorno con i nostri laboratori: imparano a modellare la ceramica, a fare le pizze, studiano. Il futuro non te lo crei sui social, ma con i sacrifici quotidiani. In questo modo i miei ragazzi riescono a tirar fuori le loro capacità, ma soprattutto riescono a credere in sé stessi».

Da quando è operativa la Fondazione ’A voce d’e Creature lei ha aiutato centinaia di ragazzini minorenni. Ne ricorda qualcuno in particolare?

«Sono tre i casi che mi hanno segnato di più. Ciro quando venne da noi aveva 8 anni e visto il padre morire in una sparatoria. La Fondazione gli ha permesso di studiare, gli abbiamo fornito cibo e vestiti. Aveva solo la mamma che però morì qualche anno dopo di cancro. A causa di questo secondo lutto si è allontanato da noi, ha incominciato a spacciare droga ed è finito in carcere. Una volta uscito l’ho perdonato: sapevo del suo passato e volevo dargli un’altra possibilità, ma poi fu di nuovo arrestato per aver accoltellato una persona e adesso è ancora in carcere. Invece Emanuele e Alessio sono due fratelli, arrivati da noi dopo aver perso il padre in un incidente stradale. Avevano otto e dieci  anni e la madre, ormai vedova e senza lavoro, non poteva provvedere al loro mantenimento. Oggi Emanuele è un educatore e lavora per la nostra Fondazione, mentre Alessio è diventato uno chef molto richiesto. Il nostro è un lavoro difficile e non sempre riusciamo a raggiungere gli obiettivi. Possiamo anche fallire, ma continuiamo nella nostra opera di educazione il bene alla fine trionfa sempre sul male».

Napoli è una città difficile, lo Stato spesso è silenzioso e la camorra resiste. Come si può uscire da questa tragica situazione?

«Sogno che i camorristi debbano morire poveri, li sogno fuori dalle chiese alla domenica a chiedere l’elemosina. Lo Stato ha tutte le leggi per poter togliere il patrimonio a questi criminali, ma se lo Stato è forte con i deboli e debole con i delinquenti saremo sempre in pochi a fronteggiarli, per di più a rischio della vita. Per fortuna ci sono moltissimi cittadini onesti, ma bisogna educarli di più al rispetto delle regole e poi alla costante lotta contro la camorra. I camorristi fanno paura, usano le armi invece della parole, ma non sono invincibili: se ci uniamo possiamo estirpare per sempre la piaga della camorra. All’inizio può sembrare un vantaggio essere affiliati a un clan, loro hanno un potere parallelo se non superiore allo Stato, ma non è un buon affare, perché se uno accetta non sa poi cosa l’aspetta dopo. I cittadini onesti si devono ribellare a tutto questo, denunciare ed evitare che siano soprattutto i giovani a finire nelle mani dei delinquenti».

La Fondazione ‘A Voce d’’e creature Onlus ha bisogno anche di voi. Per sostenere i suoi progetti ecco dove potete donare

IT45A0306909606100000104000 (Intesa Sanpaolo); IT21H0103003405000063442563 (MPS); IT09B0200803443000102274869 (Unicredit); IT71P0538703415000042946913 (BPER).

Scrive l’imprenditore Della Valle

La testimonianza di Renato Della Valle, imprenditore e grande amico e sostenitore di don Luigi Merola (di Renato Della Valle)

Ho conosciuto don Luigi vent’anni fa a una cena in casa d’amici. Sono rimasto colpito e incuriosito, perché lui, un prete, per camminare ha bisogno di due guardie del corpo.

Ascoltando i suoi racconti, storie di bambini cresciuti troppo presto perché quasi sempre con tutti e due genitori in carcere, rimasi impressionato dai suoi occhi e dal modo come raccontava queste storie. Don Luigi, ex parroco di Forcella, è venuto alla ribalta dopo la morte di una bambina di 14 anni, Annalisa Durante, uccisa per sbaglio in un regolamento di conti tra clan. Don Luigi, dopo questa morte di un’innocente, fonda, in un villa confiscata alla camorra, la sua nuova dimora: si chiama ‘A Voce d’e creature. Oggi don Luigi accoglie più di 200 minori tra Napoli e provincia. La maggior parte di questi bambini, tra i 6 e 16 anni, vive sulla strada. Quasi tutti hanno i genitori in carcere e hanno bisogno di un punto di riferimento. Don Luigi in questa casa li educa, li fa studiare, offre loro vitto e alloggio e poi laboratori, dalla cucina alla pizza, dalla ceramica al teatro, dalla musica al ballo.

Quelli che sono propensi a continuare gli studi sono supportati nel percorso universitario, sostenuti nelle spese dalla Fondazione. Altri che hanno ottenuto il titolo di scuola superiore li avvicina al mondo del lavoro legale. Per questo tipo di lavoro a rischio a don Luigi fu assegnata una scorta. E in questi quasi vent’anni di vita di trincea non sono mancati gli attentati alla sua vita.

Ultimo attacco, leggiamo sul Mattino, la devastazione della succursale della Fondazione a Pompei. Ma lui va avanti, non si ferma mai. Il suo motto è: Non mollare mai, perché nessun bambino nasce delinquente. Io lo seguo dal giorno che ho avuto la gioia di conoscerlo. E so che lui bussa alle porte di persone generose che non fanno mancare il loro sostegno.

Per portare avanti i suoi progetti si serve della Provvidenza. Essa si incarna nella beneficenza tramite un riferimenti bancari che troviamo sul sito della Fondazione (www.avocedecreature.it) oppure tramite il regime del 5 x mille, durante il periodo della dichiarazione dei redditi.

Anche in quest’anno di pandemia ed emergenza sanitaria don Luigi assieme ai suoi collaboratori ha contrastato ogni forma di povertà donando viveri alle famiglie indigenti e tablet ai minori meno fortunati affinché seguissero le lezioni a distanza. Grazie a questi computer sono stati tutti promossi! E anche noi promuoviamo don Luigi. Forza, non mollare mai!

Pubblicato sul settimanale Visto il 22 luglio 2021